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Qualora l’immobile non sia abitato dall’acquirente, decade automaticamente la ragione della sovvenzione, a prescindere dal fatto che l’appartamento sia stato pignorato

Con sentenza del 10 settembre 2013, n. 20691, la Corte di cassazione ha stabilito che l’acquirente di un immobile perde il finanziamento ottenuto dalla Regione per non aver abitato nella casa per cinque anni, anche se l’alloggio in questione è stato espropriato. Quindi, il contributo va restituito.
 
Il fatto
La vicenda riguarda la declaratoria di decadenza da parte della Regione Friuli Venezia Giulia, ai sensi dell’articolo 39 della legge regionale n. 75/1982, vigente ratione temporis, dal finanziamento concesso a un contribuente a titolo di sovvenzione per l’acquisto della “prima casa”, a causa del mancato rispetto dell’obbligo, cui il beneficio era condizionato, di residenza per almeno un quinquennio nell’immobile, come previsto dall’articolo 24 della stessa legge (poi confermato dall’articolo 15 della successiva legge regionale n. 6/2003).
 
Per detta ragione, l’ente ottenne decreto ingiuntivo con il quale richiedeva al contribuente la restituzione della somma erogatagli, mentre veniva respinta dal Tribunale l’opposizione dell’intimato al provvedimento monitorio.
Stessa sorte toccò all’appello, nella cui decisione la Corte territoriale ha considerato irrilevante che l’appellante non avesse potuto rispettare l’obbligo di risiedere almeno cinque anni nell’alloggio acquistato a causa della sottoposizione del bene a pignoramento e del suo conseguente trasferimento a terzi in sede di vendita forzata. La circostanza non era infatti idonea a configurare causa di non imputabilità dell’inadempimento, posto che la vendita coattiva era stata determinata da un comportamento colpevole del beneficiario, per omesso pagamento dei crediti vantati dalla banca procedente.
 
La sentenza viene opposta con ricorso per cassazione, con il quale l’interessato lamenta, sostanzialmente, che il giudice del riesame abbia ricompreso la vendita forzata dell’immobile fra i casi sanzionati con la decadenza del beneficiario dal finanziamento ottenuto per il suo acquisto, atteso che ai sensi dell’articolo 39 della legge regionale n. 75/1982, al proprietario era fatto esclusivamente divieto di non trasferire la propria residenza, di non locare e di non vendere l’immobile per un periodo di cinque anni, mentre invece l’ultima condizione, che si riferisce a un’alienazione volontaria, non potrebbe essere equiparata a un fatto involontario quale l’esecuzione forzata del bene.
 
Motivi della decisione
Nel decidere la vertenza, la Corte suprema respinge il ricorso, confermando che l’acquirente dell’immobile perde il finanziamento ottenuto dalla Regione per non aver abitato nell’alloggio acquistato per cinque anni, anche se l’alloggio gli è stato espropriato. Vendita volontaria o vendita forzata, non importa: ciò che conta è che il bene, acquisito come prima casa – con le connesse agevolazioni – è stato ceduto e che l’ormai ex proprietario non ha rispettato il requisito fondamentale della residenza nell’immobile per almeno un quinquennio.
 
Per questo motivo, è corretta la scelta operata dalla Regione di revocare il “beneficio” originariamente concesso, chiedendo anche la restituzione della somma erogata.
 
A rendere ancora più chiara la situazione – sancisce il giudice di legittimità, seguendo la linea interpretativa già tracciata nei precedenti gradi di giudizio – interviene anche la considerazione che la decadenza dal beneficio è stata pronunciata sì per effetto della vendita forzata, ma originata dalla condotta dell’ex proprietario. Difatti, la vendita dell’immobile è avvenuta in sede di esecuzione forzata in quanto la banca ha pignorato il bene a seguito del mancato pagamento, da parte dell’ex proprietario, delle rate del mutuo che gli era stato concesso per l’acquisto della “prima casa”.
Nessun dubbio, quindi, sulla responsabilità dell’interessato, cui è sicuramente imputabile la circostanza venutasi a creare e che lo ha portato non solo a perdere l’appartamento, ma anche a dover restituire la somma concessagli dall’ente pubblico.
 
Infatti, secondo la Corte suprema, il ricorrente dimentica che la revoca del finanziamento è stata pronunciata in ragione del mancato rispetto dell’obbligo, posto a suo carico, di risiedere nell’immobile per almeno cinque anni, ovvero per un fatto “oggettivo”, verificatosi a causa della vendita forzata del bene. Ed è innegabile, da questo punto di vista, che l’interesse pubblico sotteso alla ratio legis è quello di agevolare il privato nell’accesso alla proprietà abitativa e non di favorire l’acquisto della prima casa indipendentemente dalle finalità per le quali viene posto in essere l’acquisto.
Dunque, se l’alloggio non è abitato dal beneficiario, viene meno la ragione del finanziamento e, una volta verificatasi tale situazione, si determina “automaticamente” la decadenza della concessione del contributo.
Il giudice di legittimità, pertanto, conclude affermando la piena equiparabilità, ai fini della perdita del beneficio, della vendita forzata alla vendita volontaria.

 

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