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La fattispecie ha ad oggetto la definizione dei rapporti tra il provvedimento del Procuratore della Repubblica, titolare del procedimento contro le persone indagate dei reati di usura ed estorsione, con il quale è disposta la sospensione dei procedimenti esecutivi civili in corso contro la vittima dei reati, ed i poteri del giudice civile dell’esecuzione.

Il tema è stato oggetto di un interessante approfondimento di Riccardo Fuzio ripreso e pubblicato dalla Rivista dell’esecuzione forzata edita da Utet Giuridica. Scarica subito un numero omaggio!

Il contributo illustra l’iniziativa adottata dalla Procura Generale della Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., mediante presentazione di ricorso per cassazione con richiesta di enunciare, nell’interesse della legge, il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi.

La richiesta è stata accolta dalle Sezioni Unite con la sentenza 21854/2017.

Di seguito pubblichiamo integralmente l’estratto.

1. La fattispecie. Esposizione del fatto.

Nell’ambito di segnalazioni per condotte di possibile rilevanza disciplinare e nel corso dell’attività svolta da questo Ufficio, ai sensi dell’art.6 del d.lg. n. 106 del 2006, sono emerse divergenze interpretative e contrasti tra autorità giudiziarie in tema di concessione della sospensione dei termini e della stessa procedura di esecuzione nei confronti di debitori che abbiano presentato istanza di elargizione, ai sensi degli artt. 3, 5, 6 e 8, l. 23-2-1999, n. 44 e successive modifiche, dei benefici previsti in favore dei soggetti vittime di richieste estorsive e di usura.

In particolare è emerso che il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Salerno con provvedimento 19/20-9-2013, ed altri precedenti e successivi, ha ritenuto che, nell’ambito del procedimento di esecuzione, il provvedimento favorevole reso dal pubblico ministero, ai sensi dell’art. 20, co. 7, l. n. 44 del 1999, come modificato dall’art. 2, l. n. 3 del 2012, costituisce «condizione necessaria ma non sufficiente ai fini della sospensione del procedimento esecutivo, rientrando pur sempre nella sfera delle competenze istituzionali del giudice dell’esecuzione il potere di valutare la sussistenza dei presupposti per la sua sospensione» di modo che «il provvedimento favorevole dell’organo requirente non genera automaticamente la temporanea inesigibilità della prestazione esecutiva».

Nel contempo sono state acquisite due ordinanze: 14-5-2015 e 28-8-2015 dello stesso Tribunale di Salerno che, pronunciandosi in sede di reclamo, ai sensi dell’art. 669-terdecies c.p.c., avverso provvedimenti di fissazione di nuova vendita disposti dal giudice dell’esecuzione di Salerno (rispettivamente in data 9-2-2015 e 29-7-2015), a seguito di istanza di sospensione del debitore esecutato, hanno accolto il reclamo e dichiarata (o preso atto del)l’intervenuta sospensione degli atti esecutivi per effetto del provvedimento del P.M. presso il Tribunale di Salerno, ai sensi dell’art. 20, 7 comma della l. n. 44 del 1999.

2. La questione interpretativa.

Il tema oggetto della presente richiesta concerne l’inquadramento del rapporto esistente tra l’autorità, preposta alla valutazione dei presupposti e dei requisiti per l’elargizione dei benefici previsti dalla normativa, a favore dei soggetti vittime di richieste estorsive e di usura, e le autorità competenti ad emettere i provvedimenti di elargizione dei benefici, ivi compreso il beneficio della sospensione dei procedimenti giudiziari di esecuzione avviati nei confronti di debitori rientranti nella categoria di riferimento della legge sul Fondo di solidarietà.

L’art. 20, l. 23-2-1999, n. 44, al 1° co., dispone che «a favore dei soggetti che abbiano richiesto o nel cui interesse sia stata richiesta l’elargizione prevista dagli artt. 3, 5, 6 e 8, i termini di scadenza, ricadenti entro un anno dalla data dell’evento lesivo, degli adempimenti amministrativi e per il pagamento dei ratei dei mutui bancari e ipotecari, nonché di ogni altro atto avente efficacia esecutiva, sono prorogati dalle rispettive scadenze per la durata di trecento giorni».

L’effetto sospensivo degli indicati atti aventi efficacia esecutiva è attualmente devoluto al provvedimento favorevole del procuratore della Repubblica competente per le indagini senza però che il legislatore abbia esaurientemente disciplinato – a differenza delle altre forme di beneficio per le quali si prevede lo stretto raccordo tra il prefetto ed il pubblico ministero – il rapporto tra il procuratore della Repubblica e il giudice dell’esecuzione.

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di Consolo Claudio, IPSOA, 2018

Il testo dell’art. 20, 7° co. bis, dispone che «il procuratore della Repubblica competente trasmette il provvedimento al giudice, o ai giudici, dell’esecuzione entro sette giorni dalla comunicazione dell’elenco». In tal modo non si è tenuto conto che il giudice dell’esecuzione non è informato (ed a maggior ragione non è o non dovrebbe essere informata la parte esecutante) dell’esistenza e dello sviluppo delle indagini del procedimento penale oggetto dei fatti che sono o potrebbero essere all’origine della situazione di sofferenza della parte esecutata. Scelta legislativa, peraltro, che va rispettata atteso che è in gioco il rapporto tra due tipi di procedimento; il legislatore infatti – a differenza della precedente norma ha privilegiato il potere giudiziario rispetto a quello del prefetto – ed ha scelto di far prevalere la competenza penale su quella del giudice civile nell’accertamento dei profili connessi al legame tra l’evento lesivo e il danneggiato (art. 3, 1° co., l. n. 44 del 1999).

In molti tribunali e, in particolare, in quello di Salerno è tuttora presente una non consolidata interpretazione in ordine agli effetti diretti tra provvedimento del pubblico ministero e la sospensione dei termini e delle procedure esecutive.

La circostanza che non vi sia stata una pronuncia di legittimità su questa specifica questione (con la precisazione di cui infra par. 6) pur dopo la modifica introdotta dal legislatore, costituisce la ragione per la quale il Procuratore Generale, anche in esito alle risultanze della propria attività di osservazione delle attività del pubblico ministero (art. 6, d.lg. n. 109 del 2006) induce ad esercitare il potere di richiedere alla Corte di cassazione l’enunciazione di un principio di diritto sul punto.

3. Esistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 363 c.p.c. Ammissibilità della richiesta.

Si è già anticipato che a questo Ufficio sono pervenuti provvedimenti del giudice dell’esecuzione che hanno interpretato in modo divergente la norma in relazione alla natura vincolante del provvedimento di sospensione, emesso dal procuratore della Repubblica, ed ai conseguenti poteri del giudice dell’esecuzione e delle parti nell’ambito del giudizio di cognizione.

In relazione ai provvedimenti che possono emettersi, a seconda dei casi, sarà applicabile il regime del reclamo ovvero dell’opposizione agli atti esecutivi con i consequenziali principi in tema di ricorribilità in cassazione. I precedenti della Corte sulla disposizione in esame (con la precisazione di cui infra par. 6), infatti, sono stati pronunciati in sede di impugnazione della sentenza di rigetto del reclamo avverso sentenza dichiarativa di fallimento (Cass. n. 18612/2010; Cass. n. 8940/2012) ovvero in sede di ricorso straordinario in giudizi instaurati con opposizione ad atti esecutivi (Cass. n. 1496/2007; Cass. n. 8434 / 2012).

L’eventuale rifiuto del giudice dell’esecuzione di sospensione della procedura esecutiva, a seguito della specifica istanza del debitore esecutato, pone anche il tema dell’eventuale reclamabilità del provvedimento per effetto del principio della tipicità delle ipotesi reclamabili (come sostenuto dalla ordinanza collegiale del Tribunale di Salerno del 28-8-2015, in conformità a Cass. 13-3-2012, n. 3954).

I notevoli interessi sottesi alle procedure esecutive in cui sono coinvolte le vittime dei reati estorsivi e di usura e la tutela delle ragioni creditorie delle parti istanti in sede esecutiva rendono evidente il particolare interesse dei protagonisti della giurisdizione ad una pronuncia di un principio di diritto in ordine all’interpretazione dell’art. 20, 7° co., l. n. 44 del 1999. Si tratta, infatti, per restare ai provvedimenti emessi dal Tribunale di Salerno, di atto del giudice dell’esecuzione non impugnato o il cui diritto impugnatorio è risultato rinunciato ovvero di provvedimento non ricorribile (quanto al provvedimento di sospensione del processo esecutivo del procuratore della Repubblica ai sensi dell’art. 20, 7° co., l. 23-2-1999, n. 44).

Valuterà il Primo Presidente se, nella fattispecie, sussista sia l’urgenza nella fissazione dell’udienza sia il presupposto per investire le sezioni unite.

4. Struttura della fattispecie ed esame della normativa e della giurisprudenza.

A – Il testo originario dell’art. 20, l. n. 44 del 1999 prevedeva che «la sospensione dei termini di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 ha effetto a seguito del parere favorevole del prefetto competente per territorio, sentito il presidente del tribunale».

La Corte costituzionale con sentenza interpretativa di accoglimento del 23-12-2005, n. 457 ha rilevato che l’attribuzione al prefetto del potere di decidere in merito alla particolare ipotesi di sospensione dei processi esecutivi, prevista dalla norma impugnata, può essere ricondotta a legittimità costituzionale mediante l’ablazione della parola «favorevole».

Assegnando così alla funzione un carattere consultivo e non vincolante, coerente con la natura – giurisdizionale e non amministrativa – del provvedimento richiesto, la Corte costituzionale ha affermato che «il potere decisorio riguardo alla sussistenza dei presupposti per la sospensione del processo esecutivo torna ad essere attribuito al giudice, come naturale ed esclusivo titolare».

Alla sentenza interpretativa della Corte costituzionale era seguita una prevalente giurisprudenza di merito che, a sua volta, si era uniformata alla tesi espressa dalla Corte di Cassazione con la decisione della Sezione III civile del 23-1-2007, n. 1496. In essa si dava conto che la ratio decidendi del giudice delle leggi era imperniata su una lettura della norma («parere favorevole») nel senso che l’aggettivo «favorevole» implicasse una sorta di vincolo a carico del giudice di provvedere in conformità.

L’espunzione dell’aggettivo implicava la necessità di leggere la norma nel senso che compete al giudice l’effettiva e finale valutazione della sussistenza dei presupposti della sospensione.

Questa ricostruzione implicava, pertanto, che il beneficiario, per invocare l’effetto sospensivo del processo di esecuzione iniziato, dovesse rivolgere un’istanza al giudice dell’esecuzione e non proporre opposizione all’esecuzione.

Se il parere prefettizio non era vincolante, l’effetto sospensivo poteva aver luogo solo in presenza di una valutazione positiva del giudice sull’esistenza dei presupposti legittimanti il beneficio della sospensione, e con il tradizionale potere di sindacato inerente l’applicazione e la disapplicazione degli atti amministrativi. Soggiungeva, già allora, la Corte di Cassazione che «investire il giudice dell’esecuzione di questa valutazione non significa contestare il diritto di procedere all’esecuzione, bensì sollecitare il giudice ad adottare, nell’ambito di una procedura di esecuzione legittima, un provvedimento di natura dilatoria del suo corso».

La stessa Corte di Cassazione, sempre con riferimento alla formulazione della norma originaria, ha riaffermato successivamente che gli effetti sospensivi non potevano derivare direttamente dalla legge e che «il potere di decidere in ordine alle istanze di sospensione dei processi esecutivi, proprio perché incidente sul processo, ha natura giurisdizionale e non può che spettare in via esclusiva all’autorità giudiziaria» (Cass., Sez. I, 28-5-2012, n. 8434).

B – In epoca successiva, peraltro, la disciplina in tema di sospensione dei termini delle procedure di esecuzione ha ottenuto una ulteriore modificazione.

La nuova formulazione dell’art. 20, l. n. 44 del 1999 prevede che «le sospensioni dei termini di cui ai commi 1, 3 e 4 e la proroga di cui al comma 2 hanno effetto a seguito del provvedimento favorevole del procuratore della Repubblica competente per le indagini in ordine ai delitti che hanno causato l’evento lesivo» (art. 20, 7° co.).

La medesima norma (art. 20, 7° co. bis) disciplina anche la fase procedurale nel senso che «il prefetto, ricevuta la richiesta di elargizione di cui agli articoli 3, 5, 6 e 8, compila l’elenco delle procedure esecutive in corso a carico del richiedente e informa senza ritardo il procuratore della Repubblica competente, che trasmette il provvedimento al giudice, o ai giudici, dell’esecuzione entro sette giorni dalla comunicazione del prefetto». Il riferimento «ai giudici» riguarda l’ipotesi di diverse procedure esecutive pendenti dinanzi a distinti giudici dell’esecuzione, nel qual caso il provvedimento di sospensione è attribuito al procuratore della Repubblica del procedimento penale, relativo al delitto estorsivo o di usura, iniziato anteriormente. Con la conseguenza che, in questo caso, il provvedimento è emesso da un procuratore della Repubblica diverso dal pubblico ministero cui appartiene (appartengono) il i) giudice ii) davanti al quale la procedura di esecuzione è in atto.

Pur con la nuova formulazione si è posto: a) il tema del rapporto tra due organi (procuratore della Repubblica e giudice civile) appartenenti entrambi all’autorità giudiziaria ordinaria, ma con attribuzioni diverse; b) la questione dei limiti (eventuali) entro cui il provvedimento del pubblico ministero vincoli il giudice dell’esecuzione.

5. Le questioni di diritto.

Come già enunciato nei paragrafi precedenti, l’intervento che viene richiesto dovrà tener conto della nuova formulazione della norma e statuire in ordine:

1) alla natura giuridica ed alla definitività e/o eventuale impugnabilità del provvedimento di sospensione dei termini e della procedura esecutiva emesso dal procuratore della Repubblica;

2) ai rapporti tra il provvedimento del procuratore della Repubblica ed il giudice dell’esecuzione ed agli eventuali suoi poteri di sindacato sul provvedimento.

Sulla natura del provvedimento è pacifico che esso non può essere qualificato come atto amministrativo, pur avendo connotazione “poliforme” ed inserendosi in un procedimento amministrativo (per i fini di cui agli artt. 3-5-6-8 della legge citata).

In senso conforme cfr. T.A.R. Calabria, sez. Reggio Calabria, 18-2-2014, n. 111 secondo cui il provvedimento negativo del procuratore della Repubblica ex art. 20, 7° co., l. 44/1999 (quale modificato dalla l. 3/2012) – che impedisce di applicare il beneficio (previsto a tutela delle vittime di richieste estorsive e dell’usura) della sospensione del processo esecutivo – non può essere impugnato dinanzi al giudice amministrativo, che difetta di giurisdizione al riguardo (lo stesso T.A.R. Calabria rilevava che i dubbi di costituzionalità, che la norma pure solleva, dovranno essere eventualmente vagliati dal giudice ordinario competente).

I rapporti tra procuratore della Repubblica e giudice dell’esecuzione, del resto, non possono configurarsi in termini di conflitto di attribuzioni. La Corte costituzionale, con ordinanza del 6-12-2013, n. 296, chiamata dal giudice istruttore civile del Tribunale di Padova a pronunciarsi sulla contestata potestas del pubblico ministero di procedere alla sospensione dei termini processuali e sostanziali del procedimento civile, ha correttamente rilevato che non sussistono i presupposti di un conflitto trattandosi di organi appartenenti, entrambi, al potere giudiziario. Infatti, si è al cospetto di un provvedimento che non concerne l’esercizio dell’azione penale e non è espressione di attribuzioni costituzionali riconosciute al pubblico ministero; mentre non è configurabile – nella prospettiva del conflitto – alcuna lesione delle attribuzioni costituzionali del giudice civile in conseguenza del provvedimento di sospensione dei termini emesso dal pubblico ministero.

Il giudice delle leggi concludeva, peraltro, con l’espressa indicazione di poter far valere le censure in oggetto attraverso la proposizione della questione di legittimità costituzionale in via incidentale della disposizione attributiva al pubblico ministero del potere di sospensione dei termini, di cui alla l. n. 44 del 1999.

L’invito non è caduto nel vuoto e il giudice del Tribunale di Roma ha sottoposto l’esame della costituzionalità della norma sotto i seguenti diversi profili: a) che la riassegnazione ad un organo diverso dal giudice naturale, precostituito per legge e designato per la trattazione, del potere di incidere direttamente e, quindi, decidere della controversia mediante l’adozione di un provvedimento di sospensione dei termini stabiliti dal giudicante, può configurare la violazione dell’art. 101, 2° co., Cost.; b) che non sembra possa definirsi “giusto processo”, con lesione dell’art. 111, 1° e 2° co., Cost., quello nel quale un’autorità diversa dal giudice può influire sull’esito della controversia, a favore di una delle parti in lite; c) che la violazione dei citati parametri costituzionali sarebbe ancora più evidente nella parte in cui la norma in esame non prevede neanche la possibilità per il giudice, investito della controversia, di verificare e valutare l’effettiva ricorrenza dei presupposti previsti dall’art. 20, l. n. 44 del 1999 per la concedibilità del beneficio della sospensione dei termini.

La Corte costituzionale, con sentenza 4-7-2014, n. 192, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, 7° co., l. 23-2-1999 n. 44 avendo modo di rilevare che la sospensione dei termini, prevista dai primi quattro commi dell’art. 20, non è discrezionale ma legata alla presenza dei presupposti per l’accoglimento della richiesta dell’«elargizione». Al pubblico ministero compete la mera verifica di riferibilità della comunicazione del prefetto alle indagini per i delitti che hanno causato l’evento lesivo che è condizione dell’elargizione; e non è irragionevole, pertanto, la scelta di attribuire tale compito al pubblico ministero in sede penale, tenuto conto della sua attinenza ai procedimenti relativi ai delitti in questione.

La Corte ha concluso nel senso che «se non può negarsi una interferenza con il giudizio civile, ciò non si traduce in una illegittima compressione della relativa funzione giurisdizionale bensì di un atto interinale che ha carattere temporaneo, non decisorio e senza alcuna influenza sostanziale sul giudizio civile».

Un tale assetto interpretativo merita piena condivisione.

6. All’atto del deposito della presente richiesta, si rileva l’opportunità di rendere conto che, proprio negli ultimissimi giorni, sono risultate edite alcune pronunce della Corte di Cassazione che hanno fatto applicazione della nuova formulazione della norma in esame.

I recentissimi precedenti Cass. n. 3913/2016 (sull’inammissibilità del ricorso del procuratore della Repubblica), Cass. n. 7740/2016 (sui limiti temporali di riferimento per l’applicazione della norma); Cass. n. 8899/2016 (in tema di regolamento di competenza) e, soprattutto, Cass. n. 8956/ 2016 (sul sindacato del provvedimento del procuratore della Repubblica) giustificano ancor più, a parere di questo Ufficio, la richiesta di un pronunciamento di un principio di diritto.

7. La richiesta di principio di diritto.

La fattispecie in esame, che si connota per una peculiare complessità, trova la sua fonte nella ratio della legge originaria legata alla volontà del legislatore di istituzione di un Fondo per la solidarietà verso le vittime dei reati di tipo mafioso, di richieste estorsive e di usura che esercitano attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o comunque economica, che dichiarino di essere vittime del delitto di usura e che risultino parti offese nel relativo procedimento penale.

In tale ottica la disciplina deve, necessariamente, raccordare diverse funzioni statali unite dall’obiettivo comune di porre un forte e concreto ostacolo al proliferare di delitti che incidono sull’economia reale delle aziende (non è un caso, infatti, che la modifica della norma in esame è contenuta nella l. n. 3 del 2012 che prevede disposizioni in tema di composizione delle crisi di sovraindebitamento). Nel contempo non è trascurabile il diritto di chi è parte creditore senza essere coinvolto nell’attività criminosa in cui è rimasta parte offesa il suo debitore.

L’equilibrio raggiunto dalla vigente disciplina è opportuno che venga rafforzato da una pronuncia della Corte di cassazione anche con lo scopo di fornire un orientamento consolidato in una materia esposta alle vicende processuali (opposizione, reclami, ecc.) che spesso si innestano nella fase dell’esecuzione che, oggi, costituisce il terminale più importante della giurisdizione e, non a caso, oggetto di numerosissimi interventi legislativi.

Conclusivamente, si chiede che la Corte di Cassazione, rilevata la particolare importanza della materia sottostante alla fattispecie esposta in atti e tenuto presente che giudici anche dello stesso tribunale si sono espressi in maniera dissonante, enunci il principio di diritto al quale il giudice del merito avrebbe dovuto attenersi nei sensi che 1) «il provvedimento del procuratore della Repubblica, emesso ai sensi dell’art. 20, 7 comma, l. 23 febbraio 1999, n. 44, come modificato dall’art. 2, comma 1, lettera d), numero 1), della legge 27 gennaio 2012, n. 3, con cui si dispone la sospensione dei termini relativi ai processi esecutivi ha effetto immediato, ha natura non decisoria e si impone, per il suo carattere temporaneo, al giudice dell’esecuzione in ordine alla correlazione tra l’evento lesivo e la vittima del reato, alla corrispondenza con la comunicazione del prefetto e alla valutazione di meritevolezza del beneficio.

Il giudice dell’esecuzione può svolgere un controllo ab estrinseco circoscritto alla sussistenza dei requisiti oggettivi (titolarità del bene oggetto di esecuzione), temporali (un anno dall’evento lesivo) e di non rinnovabilità del beneficio».

2) «Il provvedimento, per il suo carattere interinale, non ha efficacia sostanziale sul giudizio civile; restano fermi gli ordinari strumenti processuali previsti avverso i provvedimenti del giudice dell’esecuzione».

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Manuale dell’esecuzione forzata
di Soldi Anna Maria, CEDAM, 2017

(Altalex, 27 febbraio 2018)

 

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