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La domanda è una: cosa fare per combattere la piaga del lavoro nero in agricoltura, ormai diventato in molte zone strutturale? Le risposte delle principali associazioni di rappresentanza

Se c’è il lavoro nero a due euro l’ora è tutta colpa del fatto che gli ingressi di stranieri regolari è limitato? Basterebbe farne entrare di più e le aziende agricole sarebbero disposte a metterli in regola? Oppure è la struttura delle imprese agricole, piccole e con basse economie di scala, a favorire modelli di business con pochi investimenti e alto sfruttamento del lavoro? Abbiamo posto queste domande alle principali associazioni di rappresentanza del mondo agricolo, che conta 1 milione 133 mila aziende in Italia (nel 93,5% dei casi imprese individuali o familiari). La domanda è una: cosa si può fare per combattere la piaga del lavoro nero in agricoltura, ormai diventato in molte zone strutturale? Ecco le loro risposte.

Confagricoltura: «Il contratto nazionale deve restare il nostro faro»

Secondo il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti occorre rafforzare gli strumenti già a disposizione per la tutela dei lavoratori. Dice: «Per debellare il caporalato, che danneggia tutto il comparto agricolo comprese le aziende che operano nella legalità, serve un’intesa più forte con i sindacati. Il contratto nazionale deve restare il nostro faro. Bisogna puntare a un rafforzamento delle tutele potenziando, ad esempio, il sistema degli enti bilaterali a livello provinciale». 

Sul nanismo delle imprese agricole, spesso citato come uno dei fattori che favorisce l’irregolarità e il lavoro nero, Giansanti è netto: «Il tema non è la taglia delle aziende ma quanto queste siano integrate in filiere in grado di stare sul mercato e quindi capaci di premiare il lavoro di qualità oltre che prestare attenzione alle certificazioni e all’elemento reputazionale». Per il presidente servono poi controlli estesi e un sistema più efficiente per regolare la domanda e l’offerta di lavoro nei campi del Made in Italy, che dal post pandemia soffrono una crisi di manodopera senza precedenti.




















































Cia: i database sono una risorsa e servono controlli incrociati

In Italia un terzo della manodopera nel settore primario è, non a caso, di nazionalità straniera, con una quota elevata di braccianti extracomunitari (circa il 70%). Tra loro, secondo alcune stime di Confagricoltura, soltanto il 30% di chi è selezionato attraverso la procedura della “lotteria” riesce a raggiungere il nostro Paese. Un problema quello degli ingressi che preoccupa anche la Cia-Agricoltori italiani che ha proposto una black list dei datori che pur avendo ottenuto il visto per i lavoratori richiesti, non hanno poi formalizzato il contratto di soggiorno. Secondo il presidente Cristiano Fini servono poi azioni mirate. Va in parallelo promossa la diffusione non solo della “Rete del lavoro agricolo di qualità”, pensata per indicare le aziende etiche (qui l’elenco completo), ma vanno realizzati controlli incrociati tra Inps, Agenzia delle entrate e Ispettorato del lavoro. «I database – dice – sono una risorsa. Grazie ai fascicoli delle aziende agricole è possibile verificare il numero delle assunzioni regolari fatte da un’impresa, se è basso rispetto alla taglia della stessa è un campanello d’allarme». E aggiunge: «La Rete del lavoro agricolo di qualità va poi sostenuta. Sono iscritte appena 6600 aziende su 400mila attese. Andrebbero introdotte premialità, non di natura economica,  rispetto ai Piani di sviluppo rurale per le imprese che si iscrivono».

Caporalato, controlli, prezzi, flussi in ingresso: come superare le paghe a 2 euro l’ora (e cosa fanno le imprese)

Coldiretti: «Un giusto reddito a tutte le parti: dai lavoratori alle aziende agricole»

Anche Coldiretti ha garantito sostegno alla lotta contro il caporalato. Per il presidente Ettore Prandini: «Quello che dobbiamo fare è lavorare per l’equa distribuzione del valore lungo la filiera, attraverso contratti che valorizzino il 100% italiano e assicurino un giusto reddito a tutte le parti: dai lavoratori alle aziende agricole, passando per trasformazione e distribuzione». Posto che «gli stranieri in regola sono diventati fondamentali per le produzioni made in Italy», secondo Prandini, occorre intervenire a monte: «Sostenere l’occupazione regolare favorendo i lavoratori dipendenti a tempo determinato che arrivano dall’estero e che, una volta terminato il lavoro rientrano nei loro paesi di origine». Per fare questo è necessario migliorare il sistema dei flussi di lavoro. «Va superata la logica del click day per rispondere alle reali esigenze di lavoratori da parte delle imprese, in maniera tempestiva e trasparente», conclude.

Filiera Italia: pianificare meglio i flussi di entrata

Filiera Italia raggruppa diverse organizzazioni e aziende lungo la filiera, da Coldiretti a Carrefour e Conad passando per le oltre principali cento aziende della trasformazione alimentare. L’amministratore delegato è Luigi Scordamaglia. «Non credo che il punto sia smettere di avere aziende piccole. Nella pratica è necessario incrociare le banche dati per rendere più efficienti i controlli degli ispettori del lavoro. Incrociando i dati si possono mettere sotto la lente direttamente le aziende che hanno situazioni critiche – auspica Scordamaglia – Poi è necessario pianificare meglio i flussi di entrata, responsabilizzando nello stesso tempo le aziende: a chi entra vanno date garanzie sull’applicazione del contratto. In questo un ruolo possono avere le associazioni di rappresentanza del settore».

Caporalato, controlli, prezzi, flussi in ingresso: come superare le paghe a 2 euro l’ora (e cosa fanno le imprese)

Scordamaglia è anche convinto che si potrebbero formare i lavoratori nel Paese d’origine prima di farli arrivare, come mostrano alcune esperienze di imprese aderenti a Filiera Italia. «Da due anni a questa parte sono state introdotte norme che vietano l’acquisto da parte della distribuzione alimentare di prodotti sotto i costi di produzione. Questa è una importante forma di tutela, che potrà essere meglio applicata grazie alle misure contenute nel DL agricoltura». Ma come fa un’azienda individuale ad avere le forze, per esempio, per partecipare a bandi di gara legati a fondi europei? «I contratti di filiera prevedono investimenti a fondo perduto per la digitalizzazione e l’innovazione tecnologica anche per i piccoli, l’obiettivo è mettere in rete le aziende non stravolgerne il modello».

Conserve Italia: macchinari omologati e formazione

Ad evidenziare luci, ma anche ombre, è Maurizio Gardini, presidente di un importante gruppo cooperativo agroalimentare, Conserve Italia, oltre che presidente di Confcooperative. «La tragica vicenda di Latina evidenzia il fatto che l’uso delle macchine e la maggiore presenza di tecnologia in agricoltura richiedono attenzioni, competenze, rispetto delle regole. Le macchine devono essere omologate, le persone formate al loro utilizzo», esordisce Gardini. Rispetto alla presenza del lavoro nero in agricoltura, bisogna dire che la competizione è ancora in gran parte sul prezzo. É vero, sono state vietale le aste al doppio ribasso. Ho partecipato però di recente a una gara dove il prezzo concordato alla fine era inferiore al costo di produzione. Quando è così, è evidente che qualcosa sarà sacrificato, sul piano del lavoro o delle tutele ambientali, o di entrambi». 

Caporalato, controlli, prezzi, flussi in ingresso: come superare le paghe a 2 euro l’ora (e cosa fanno le imprese)

Ma i contratti di filiera? la definizione da parte di Ismea di un prezzo al di sotto del quale non si possa andare? «Ne abbiamo parlato anche al tavolo del ministero sul trimestre anti-inflazione. Ma viene fatto in poche filiere». E le certificazioni “sociali” che dimostrano che la mela, la pesca o il pomodoro è stato prodotto rispettando i diritti dei lavoratori? «Sulla carta è una soluzione ma poi chi va è verificare che quanto certificato corrisponda alla realtà? E poi il prezzo per il consumatore in questa fase resta una priorità».

Filiera equa? Prezzi trasparenti, blockchain e tracciabilità

Al di fuori del mondo associativo, cosa propone chi conosce bene il settore? A sostenere a spada tratta l’idea della certificazione è Andrea Segrè, docente di economia circolare e politiche per lo sviluppo sostenibile all’università di Bologna. «Una filiera equa e sostenibile funziona se ci allontaniamo dalla logica del massimo ribasso, se promuoviamo un prezzo trasparente e un’etichetta narrante – dice Segrè -. Indichiamo il prezzo alla sorgente che ci mostra quanto è stato pagato il produttore e quale è il ricarico del distributore. Le tecnologie per farlo esistono, a partire dalla blockchain. E credo che molti consumatori sarebbero disposti a pagare qualche centesimo in più pur di avere la certezza di non alimentare queste nuove forme di schiavismo».

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