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 Una recente sentenza del Tribunale di Verona, n. 2384 del 24 ottobre 2013, dichiara nulli i contratti con cui i parenti delle persone degenti in RSA si impegnano come garanti/fideiussori per il pagamento della quota sociale. Si tratta di una sentenza importante, perche’ consolida – in modo chiaro e sintetico – l’orientamento gia’ espresso dal Tribunale di Firenze in due sentenze del 2012 (sentenza del 13 agosto 2012 e sentenza del 18 settembre 2012).

Nella vicenda in esame, la RSA aveva richiesto ed ottenuto un decreto ingiuntivo per il pagamento della quota sociale sulla base di un contratto di impegno sottoscritto dai parenti della persona degente. La signora X, destinataria dell’ingiunzione, si e’ rivolta al tribunale, assistita dall’avv. Maria Luisa Tezza del foro di Verona, chiedendo che il contratto fosse dichiarato nullo per contrarieta’ a norme imperative.

Il Tribunale di Verona ha accolto l’opposizione della ricorrente, correttamente statuendo che la norme che prevedono la suddivisione delle spese di ricovero fra Azienda sanitaria e Comune (salva la compartecipazione dell’utenza in proporzione al reddito) rientrano “nell’ambito della normativa di interesse pubblico che assicura ai cittadini le prestazioni socio-sanitarie necessarie, da garantirsi su tutto il territorio nazionale, in applicazione concreta dell’art. 32 Cost.”. Di conseguenza “il diritto al ricovero e all’assistenza di un soggetto ultrasessantacinquenne e invalido al 100% non può esser regolamentato da convezioni private che, in qualche modo e secondo vari mezzi giuridici (espromissione, fideiussione, ecc.) , ostacolino di fatto il ricorso del cittadino alla fruizione dell’assistenza sanitaria, quale mezzo concreto di garanzia e attuazione del diritto costituzionalmente riconosciuto alla salute. […] Il contratto […] deve ritenersi percio’ nullo ex art 1418 c.c. per contrarietà a norme imperative”.

Nell’ambito del rapporto pubblicistico di erogazione delle prestazioni sociosanitarie non c’e’ spazio – quindi – per la contrattazione privata. Le strutture che erogano il servizio in convenzione con Asl o Comuni sono longa manus dell’amministrazione e le impegnative al pagamento che le RSA sottopongono ai parenti, il cui scopo e’ quello di aggirare le norme pubblicistiche che stabiliscono modi e criteri di ripartizione dei costi di degenza fra enti pubblici e cittadini, sono un vero e proprio ostacolo alla fruizione dell’assistenza sanitaria.

La sentenza in commento si pronuncia anche sulle richieste economiche fatte direttamente ai parenti in quanto “tenuti agli alimenti” ai sensi degli art. 433 e seguenti codice civile: “non si puo’ nemmeno ritenere che il contributo dei parenti dell’invalido possa esser richiesto ex art. 433 c.c.: il ricorso a tale normativa e’ consentito solo al soggetto privo di mezzi o al suo legale rappresentante, non certamente ad un terzo, specie se ente pubblico”; la possibilita’ che gli enti erogatori del servizio e le amministrazioni e’ peraltro espressamente esclusa dall’art. 2, comma 6 del d.lgs. 109/1998.

Anche a prescindere da come la quota sociale viene computata – se cioe’ tenendo in considerazione i redditi del solo assistito o anche quelli dei parenti – il solo obbligato al pagamento e’ il degente, ovviamente nei limiti del proprio patrimonio. Ed e’ chiaro che se il degente ha un reddito X, qualsiasi richiesta economica superiore non potra’ da questi essere soddisfatta. Ecco allora che le RSA, consapevoli dell’incapienza del patrimonio del degente, fanno firmare ai suoi parenti impegni fideiussori al pagamento ponendoli come condizione senza la quale il proprio familiare non puo’ fare ingresso in struttura, a volte invocando gli obblighi alimentari, altre addirittura contemplando questo “obbligo” direttamente nelle convenzioni stipulate con Comuni e Asl.

Come ribadito dalla recente sentenza del Tribunale di Verona, si tratta di prassi illegittime. Qui il modulo per comunicare alla RSA la risoluzione/recesso/revoca dell’impegno sottoscritto.
Qui il canale dell’Aduc dedicato al tema.

 

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