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L’Italia fa pochi figli ed è diventata la grande malata d’Europa. Record negativo nel 2021: appena 399.431 nascite (quasi il doppio i decessi, 709 mila persone). Il tasso di fertilità totale, ovvero il numero medio di bambini per donna in età fertile, è di 1,24, il più basso dopo Malta (1,13) e Grecia (1,19), molto indietro sia rispetto alla media Ue (1,5) sia ai Paesi più simili per ricchezza nazionale e demografia: Germania (1,53) e Francia (1,83). Ormai il problema è strutturale.

Proiezioni fosche per il futuro

La discesa del tasso di fertilità in Italia è un fenomeno che viene da lontano. Dal 1980 l’Italia è sotto i due figli per donna, soglia che assicura a una popolazione la possibilità di mantenere costante la propria struttura. L’emorragia è aumentata dal 2015, anno in cui per la prima volta si è scesi sotto le 500 mila nascite. Poi è arrivata la pandemia che ha portato il tasso ancora più giù. Se il trend negativo dovesse proseguire – stima l’ultimo rapporto Istat sulle previsioni demografiche – ci ritroveremmo nel 2070 con una popolazione di 47,7 milioni di persone, 11,5 milioni in meno rispetto a oggi (Qui la proiezione).

Gli investimenti in Italia e nella Ue

L’Italia è uno dei Paesi europei che spende meno per le politiche di sostegno alla famiglia e alla natalità. Nel 2019 ha investito appena l’1,1% del Pil (circa 20 miliardi) contro il 3,3% della Germania (116 miliardi) e il 2,3% della Francia (62 miliardi). Gli unici che fanno peggio sono Cipro (1% del Pil) e Malta (0,8%). In totale la spesa in tutta la Ue per assegni familiari e figli è stata di 315 miliardi di euro, pari al 2,3% del Pil europeo. Una prima inversione di tendenza è arrivata con il governo Draghi che nel 2022 ha aumentato la spesa per le politiche di sostegno alla famiglia all’1,4% del Pil (circa 26 miliardi, 6 in più) e ha introdotto l’assegno unico e universale (Auu). L’Auu è una misura universalista (va a tutte le famiglie con figli), strutturale (finanzierà il bambino fino ai 18 anni di età, se studia o cerca lavoro fino a 21 anni) e progressiva (l’assegno è di 175 euro al mese a figlio per le famiglie meno abbienti, 50 euro per quelle più ricche). Per ciascun figlio successivo al secondo è prevista una maggiorazione da 85 euro a 15 euro al mese. L’importo di 175 euro riguarda la metà delle famiglie italiane, mentre un contributo di 100 euro al mese raggiunge quella parte di ceto medio che ha un reddito familiare tra i 60 e i 70 mila euro (stime Mef). La misura è estesa anche ai figli degli immigrati se i genitori hanno un permesso di soggiorno da almeno 6 mesi. Nei primi 9 mesi dell’anno sono arrivate quasi 6 milioni di richieste (5.982.892) riferite a oltre 9 milioni di figli (9.176.144) e sono stati erogati 8,9 miliardi di euro.

Il bonus asilo

L’altro contributo principale erogato alle famiglie italiane è il bonus per gli asili nido. Si tratta di un rimborso che va da 136 a 272 euro al mese per il pagamento delle rette degli asili nido ed è trasferito dallo Stato alle famiglie che hanno un figlio fra 0 e 3 anni. Per il 2022 sono stati stanziati 553,8 milioni con i quali sono state finanziate 365 mila domande. I fondi risultavano esauriti già a settembre e solo attingendo alle risorse stanziate negli anni precedenti si è riusciti a rimborsare ulteriori 60 mila domande. La copertura che gli asili nido riescono a garantire in Italia rispetto al numero di bambini è ancora troppo bassa: nel 2020 si fermava al 26,6%, ma dovrebbe aumentare nei prossimi anni grazie all’investimento di 3,1 miliardi del Pnrr.

Gli aumenti previsti dal governo Meloni

La legge di Bilancio presentata dal governo Meloni prevede che per il primo figlio sotto 1 anno d’età l’assegno unico sarà aumentato del 50% (262 euro per le famiglie meno abbienti, 75 per i più ricchi). Lo stesso incremento del 50% per le famiglie con 3 o più figli sotto i 3 anni d’età (dunque dovrebbe salire rispettivamente a 347 e 98 euro). Inoltre, il congedo parentale facoltativo sarà retribuito per un mese all’80% dello stipendio anziché al 30% per le madri lavoratrici.

Gli assegni familiari in Europa: i due modelli

Tutti i Paesi europei hanno un tasso di fertilità inferiore a due figli per donna. I principali approcci seguiti per sostenere la natalità sono due, completamente diversi. Li ha fotografati un recente studio pubblicato dal British Medical Journal. Il primo, tipico della Francia e della Germania, mette al centro la persona, è inclusivo, promuove i diritti e la parità di genere. Il secondo all’opposto, prevalente in Polonia e Ungheria e definito «pronatalista», fa pressione sulle donne affinché si sposino e abbiano più figli possibile per il bene della nazione, imponendo ruoli familiari e di genere conservatori.

In Germania

La Germania è il Paese che negli ultimi 10 anni ha investito di più sulla famiglia ed è riuscito a risollevare il tasso di fertilità da 1,39 a 1,58 (dato 2021). Il sistema si basa su due misure principali: l’assegno alle famigliecon figli (Kindergeld) e l’assegno parentale (Elterngeld). Il Kindergeld è un contributo universale di 219 euro al mese che viene corrisposto dopo la nascita del primo figlio. L’assegno aumenta a 225 euro per il terzo figlio e a 250 euro per il quarto. La somma è versata fino ai 18 anni d’età (25 se si studia o se si è disoccupati) ed è percepita anche dai residenti stranieri (nel marzo 2021 erano oltre 83 mila i cittadini italiani con figli che ricevevano l’assegno). L’Elterngeld è per entrambi i genitori che dopo la nascita di un figlio sono disoccupati o scelgono di lavorare con orario ridotto per accudire il bambino (massimo 30 ore). L’assegno è garantito fino ai 14 mesi di vita dei bambini e corrisponde al 65% del mancato reddito netto. Può variare da un minimo di 300 a un massimo di 1.800 euro al mese. Lo scopo è incentivare i genitori a condividere il tempo e la cura del congedo. Nel 2020 l’hanno incassato 1,9 milioni di persone (Dati Neodemos).

In Francia

La Francia invece da decenni investe sul futuro e infatti ha il tasso di fertilità più alto in Europa (1,83). Le tasse non sono su base individuale, ma si calcolano sul reddito complessivo della famiglia (Quoziente familiare). Tutti i principali assegni sono su base reddituale ovvero sono più consistenti per i meno ricchi e sono riscossi anche dai residenti stranieri. La misura più importante è l’allocation familiale, contributo che finanzia le famiglie con almeno due figli fino ai 20 anni di età (25 se studiano). L’importo base è di 140 euro al mese, 320 euro per chi ha tre figli, 500 euro dai 4 figli in poi. Dopo il compimento dei 14 anni c’è un ulteriore aumento di 88 euro a figlio. Poi ci sono il premio alla nascita (970 euro), l’assegno mensile di base per i figli fino a tre anni (175 euro al mese) e l’assegno per l’inizio dell’anno scolastico (aliquota base: 378,87 per figli tra 6 e 10 anni, 399,77 per figli tra 11 e 14 anni, 413,62 per figli tra 15 e 18 anni). Le norme francesi stabiliscono anche che i genitori possono usufruire a lungo del part-time (di base un anno, ma può essere esteso fino a tre). Lo Stato copre parte dello stipendio mancante.

Polonia e Ungheria

I Paesi dell’Est Europa hanno subito un netto crollo demografico dopo il 1989. Nell’ultimo decennio hanno cercato di cambiare rotta. In Polonia dopo il fallimento dello schema Famiglia 500+, il governo nazional-conservatore ha lanciato dal 2022 «Family Care Capital», programma che alza a 213 euro al mese il contributo dello Stato per il secondo figlio e i successivi. Il tasso di fertilità nel 2021 resta basso: 1,3. In Ungheria invece i sussidi economici sono molto più leggeri: 30 euro al mese per il primo figlio, 37 per il secondo e 44 per i successivi. Si punta sulle agevolazioni fiscali e sui benefit: le donne che si sposano sotto i 40 anni hanno un mutuo agevolato come pure le famiglie con due figli. Se si hanno 3 figli, lo Stato offre un assegno per un’auto a 7 posti. Dal quarto figlio in poi non si pagheranno più le tasse a vita. Dopo un’iniziale risalita nello scorso decennio, il tasso di fertilità in Ungheria si è stabilizzato a 1,5 figli per donna. Nonostante l’impegno per la famiglia e l’accento sui valori conservatori, i Paesi dell’Est hanno mostrato grande riluttanza a investire su uguaglianza di genere e servizi per l’infanzia. Oggi Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia registrano il tasso di iscrizioni agli asili nido più basso dell’Unione europea (sotto il 10%), mantenendo inalterata un’organizzazione familiare incentrata sulla cura femminile. L’Ungheria fa poco meglio (16%). In Polonia le restrizioni all’aborto sono state ulteriormente inasprite (praticamente si può abortire solo se la madre rischia la vita), è vietata la distribuzione gratuita dei contraccettivi, proibita la sterilizzazione volontaria, limitato lo screening prenatale.

Congedi parentali flessibili e incentivi al lavoro femminile

Gli assegni familiari per i figli sono le misure più comuni adottate in Europa per sostenere le famiglie. Per rivitalizzare la natalità, prima di tutto occorre che lo Stato offra assegni corposi, evitando bonus una tantum. Lo dimostrano misure dispendiose dai risultati poco esaltanti come il bonus bebè di 2.500 euro lanciato in Spagna da Zapatero e il «Capitale per la Maternità e per la Famiglia» di 5.300 euro offerto da Putin alle madri russe (il reddito pro-capite a Mosca è di 8.500 euro). Inoltre, è necessario che gli assegni siano accompagnati dal miglioramento dei servizi per l’infanzia come asili nido di qualità e convenienti (in Spagna e Francia superano la soglia del 50%).

Bisogna poi potenziare le misure per la conciliazione tra vita e lavoro: congedi parentali flessibili e ben retribuiti, tutele ai genitori che scelgono il part-time e soprattutto incentivi al lavoro femminile. Le statistiche dell’Ocse ci confermano che anche su quest’ultimo punto siamo fanalino di coda tra i Paesi industrializzati: solo il 72,6% delle donne italiane tra i 25 e i 54 anni ha un lavoro. Peggio di noi fanno solo Sudafrica e Turchia.

 

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