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Che il lavoro domestico in Italia svolga un ruolo essenziale è noto, ma pochi conoscono il suo peso sull’economia nazionale.

Ebbene, il settore vale oltre un punto di Pil, ovvero oltre 20 miliardi, e nel 2021 ha fatto risparmiare allo Stato circa 10 miliardi sull’assistenza agli anziani. A precisarlo è il IV Rapporto annuale sul lavoro domestico dell’associazione Domina, che sempre nel 2021 ha rilevato la presenza di quasi 1 milione di lavoratori domestici, che diventano 2 milioni se si contano anche quelli irregolari. Per la maggior parte si tratta di stranieri, tuttavia la componente italiana risulta in crescita e, sorpresa, anche l’età media di colf e badanti si sta abbassando. Il mestiere della colf adesso infatti fa gola anche ai più giovani. Spiega Lorenzo Gasparrini, segretario generale di Domina: «In Italia il lavoro domestico rappresenta non solo una necessità per le famiglie ma anche, specialmente nei momenti di crisi economica, un’opportunità di lavoro per i giovani. Gli ultimi anni sono stati caratterizzati dall’aumento di giovani nel lavoro domestico. Non si tratta solo di stranieri, ma anche di italiani che in questo settore trovano un ingresso nel mondo del lavoro».  Nel dettaglio, alla fine del 2021 i lavoratori domestici regolari erano oltre 960mila, in aumento rispetto all’anno precedente per effetto della sanatoria avviata nel 2020. Le domande di sanatoria per il lavoro domestico e l’agricoltura alla fine dello scorso anno hanno sfiorato quota 207mila, di cui oltre la metà accolte. Nonostante questo, il settore domestico resta nettamente al comando della triste classifica dei settori per tasso di irregolarità, a quota 52,3% contro una media nazionale del 12%.

 

LE FAMIGLIE

«I lavoratori domestici totali sono circa 2 milioni, di cui meno della metà in regola», ricorda l’associazione. I datori di lavoro domestico invece sono più di un milione e per il 93% sono italiani. Nell’ultimo anno le famiglie hanno speso oltre 15 miliardi di euro per il lavoro domestico: 8,1 miliardi per la componente regolare e 7 miliardi (che però secondo alcuni calcoli sarebbe quasi il doppio) per quella irregolare. Numeri che peraltro sono destinati a crescere, visto l’inverno demografico ormai inarrestabile che determina un aumento costante della popolazione anziana. Si tratta, come detto, di un settore caratterizzato da una forte presenza straniera (70% del totale), soprattutto dell’Est Europa, e da una prevalenza femminile (85%), anche se negli ultimi anni si è registrato un aumento sia degli uomini che della componente italiana. «In particolare – sottolinea il segretario generale di Domina – nelle regioni del Sud, caratterizzate da un alto tasso di disoccupazione giovanile, il lavoro domestico può rappresentare un ambito di lavoro sicuro, formativo e duraturo». Tradotto: il lavoro domestico è cambiato, come molti segmenti della società, e non è più un comparto esclusivamente femminile e poco professionalizzato. Conclude Gasparrini: «Oggi gli uomini impiegati nel comparto sono quasi 150mila, pari al 15% del totale. Si tratta di una componente molto dinamica, cresciuta di quasi il 30% negli ultimi sei anni. Poco nota, in particolare, la figura del “badante” che conta circa 40mila lavoratori uomini addetti alla cura della persona. Dinamiche importanti, che danno prova dell’Italia che cambia. E a cui anche le politiche per la famiglia, e per la non autosufficienza, dovrebbero adeguarsi».

LE REGIONI

Infine, nell’ultimo rapporto annuale sul lavoro domestico viene dato ampio spazio alle schede regionali, che offrono una panoramica sui dati e sugli strumenti di sostegno alle famiglie. Se a livello nazionale possiamo calcolare un impatto sul prodotto interno lordo pari all’1,1% del totale, in alcune realtà territoriali il contributo incide in misura ancora maggiore: in Umbria per esempio l’asticella sale all’1,5%, in Sardegna si livella poco sotto mentre nel Lazio si ferma all’1,4%. Veneto, Abruzzo e Puglia si fermano allo 0,9%. Le Marche arrivano all’1% e la Campania all’1,1%, in linea con la media nazionale. Intanto il governo sta lavorando a un piano per ampliare la deducibilità fiscale delle spese per colf e badanti, anche perché stando alle stime il lavoro domestico irregolare costerebbe allo Stato quasi 2,7 miliardi di mancato gettito, tra evasione contributiva e fiscale. Bisogna poi ricordare che se da un lato le famiglie che ricorrono al “nero” ottengono un risparmio compreso tra il 5 e il 10%, dall’altro si assumono il rischio di arrivare a pagare il 30% in più in caso di controversia con il lavoratore. A gennaio di quest’anno è anche scattato l’adeguamento all’80% dell’indice Istat delle retribuzioni minime dei lavoratori domestici che quindi sono aumentate del 9,2%. Per quanto concerne le indennità di vitto alloggio l’adeguamento è del 100%. Una badante non convivente per persona non autosufficiente che lavora per 30 ore alla settimana ora guadagna poco più di mille euro, sarebbe a dire 85 euro al mese in più rispetto all’anno scorso. Mentre lo stipendio minimo di una badante convivente a tempo ha fatto un balzo di quasi 100 euro, passando a 1.120 euro circa. 

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