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In caso di licenziamento o dimissioni del dipendente, il creditore può pignorare il trattamento di fine rapporto (TFR). Tuttavia la legge prevede termini e limiti entro cui ciò può avvenire.

È noto che una persona che ha debiti può vedersi pignorare i propri beni, dal conto corrente al quinto dello stipendio o della pensione, dalla casa agli eventuali canoni di affitto percepiti da terzi. Tuttavia, cosa succede se una persona è in procinto di dimettersi dal lavoro o di essere licenziata? In quel caso il TFR può essere pignorato e in che misura? Cerchiamo di comprenderlo meglio nella seguente guida.

Si può pignorare il TFR?

Il TFR può essere oggetto di sequestro, pignoramento o cessione. Il pignoramento del TFR però può avvenire solo dopo che è

maturato il diritto alla corresponsione e non anche in corso di regolare svolgimento del rapporto di lavoro. In altri termini il creditore non può pignorare la parte della busta paga che il datore di lavoro è tenuto ad accantonare mensilmente a titolo di TFR.

Se il rapporto di lavoro è in corso, il creditore può solo pignorare il quinto dello stipendio e può farlo in due modi:

  • tramite il pignoramento del conto corrente. In tal caso: a) le somme già presenti sul conto alla data di notifica del pignoramento potranno essere pignorato solo nella parte che eccede il triplo dell’assegno sociale; b) le somme che verranno successivamente bonificate dal datore di lavoro a titolo di retribuzione saranno pignorate entro massimo un quinto;
  • pignoramento della retribuzione prima del suo accredito sul conto e quindi direttamente in capo al datore di lavoro. In tal caso l’atto di pignoramento viene notificato direttamente al datore (che trattiene il quinto e lo eroga poi al creditore).

Quando il rapporto di lavoro cessa

, sia per dimissioni che per licenziamento, il pignoramento dello stipendio si trasferisce automaticamente sul TFR. Sicché il datore di lavoro, semmai il debito non è stato ancora integralmente pagato, dovrà trattenere una quota del TFR per corrisponderla al creditore.

Se invece il rapporto di lavoro è terminato e il datore di lavoro non ha ancora corrisposto il TFR, il creditore può pignorarlo notificando a quest’ultimo l’atto di pignoramento vero e proprio.

Chiaramente se il TFR è stato già corrisposto, il creditore non ha altro modo di pignorarlo se non attraverso il pignoramento del conto corrente (sempre che le somme si trovino ancora sul conto) e non siano state spese o trasferite su un conto appartenente a terzi.

In che misura si può pignorare il TFR?

Il TFR si può pignorare nei limiti di massimo un quinto, così come avviene con lo stipendio.

Quindi il creditore non può bloccare l’integrale pagamento del TFR anche se il proprio credito è superiore all’importo del quinto. Se così infatti dovesse essere il credito resterà insoddisfatto e il creditore potrà andare a pignorare altri beni del debitore.

Chi ha già il TFR pignorato non può subire un secondo pignoramento a meno che la natura del credito sia diversa. Ci spieghiamo meglio.

Esistono tre categorie di crediti:

  • crediti di natura fiscale;
  • crediti di natura alimentare;
  • crediti di natura diversa (tutti gli altri).

Se l’ex moglie ha già pignorato il quinto del TFR, ben può pignorare un secondo quinto il fisco o la banca, che appartengono a una categoria di credito diverso. Se però la banca ha pignorato un quinto del TFR, un altro creditore della stessa categoria (ad esempio un avvocato o una controparte processuale) non può pignorare un secondo quinto.

Come avviene la cessione del quinto del TFR in caso di finanziamento

Un lavoratore, alla firma di un contratto per un prestito personale (che prevede il rimborso attraverso la cessione del quinto o mediante la delega di pagamento), può impegnare il TFR accumulato fino a quel punto in azienda, oltre al TFR che accumulerà nei mesi futuri, come garanzia per il prestito ottenuto dalla società di finanziamento.

Durante la formalizzazione del contratto, è necessario indicare se il TFR, in tutto o in parte, è stato obbligatoriamente versato al FTINPS. In questa circostanza, la società finanziaria impegna anche l’importo versato al fondo, che deve agire nello stesso modo del datore di lavoro.

Se il lavoratore viene licenziato, il datore di lavoro è tenuto a trasferire il TFR alla società finanziaria fino a quando il debito residuo del prestito corrente non è saldato.

In sostanza, il datore di lavoro si obbliga a informare la società finanziaria sulla data del licenziamento e riceve da essa un calcolo di chiusura che deve saldare trasferendo tutto o una parte del TFR accumulato dal lavoratore:

  • se il TFR accumulato è superiore al debito residuo, il datore di lavoro trasferisce la quota di TFR necessaria per saldare il debito e liquida il residuo al lavoratore;
  • se il TFR accumulato è inferiore, il datore di lavoro trasferisce alla società finanziaria l’intero TFR.

Nel caso in cui non ci sia abbastanza denaro, il datore di lavoro che chiede la restituzione diretta del contributo versato al Fondo tesoreria è obbligato a specificare la quota da liquidare alla società finanziaria e l’eventuale quota da restituire al lavoratore.

Se il lavoratore ha un prelievo forzoso sul salario, è necessario tenere presente che per legge un quinto del TFR deve essere obbligatoriamente versato per il pignoramento, mentre la parte restante, a meno che non vi siano società finanziarie da risarcire, rimane a disposizione del lavoratore.

Se il lavoratore ha sia la cessione del quinto che la delega di pagamento, nel pagamento del TFR ha la priorità l’azione notificata per prima. Di conseguenza, il datore di lavoro – e quindi il Fondo – deve saldare quest’ultima e trasferire ciò che resta per il saldo parziale della seconda.

Se il lavoratore – prima o dopo aver ottenuto un prestito per il cui rimborso ha effettuato la cessione di un quinto del salario con l’offerta del TFR come garanzia – ha deciso di destinare il TFR alla previdenza complementare, è consigliabile che il datore di lavoro, a cui è notificata l’offerta di garanzia del TFR, informi la società finanziaria della scelta fatta dal lavoratore (Nota COVIP 30 maggio 2007). Tuttavia, ciò comporta solo un cambiamento del depositario del TFR (il fondo invece del datore di lavoro) e non altera l’oggetto della garanzia: cambia solo il depositario della garanzia a cui rivolgersi in caso di inadempimento del saldo del finanziamento (Risposta Interpello Ministero del Lavoro 19 dicembre 2008 n. 51).

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