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Commette il reato di malversazione di erogazioni pubbliche chiunque, estraneo alla pubblica amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico o dalle Comunità europee contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, destinati alla realizzazione di una o più finalità, non li destina alle finalità previste (art. 316-bis cod. pen.)


Malversazione di erogazioni pubbliche

di Anna Larussa

1. Premessa

L’articolo 316 bis è stato aggiunto nel codice penale sotto la rubrica di “Malversazione a danno dello Stato”, dall’art. 3, L. 26 aprile 1990, n. 86, in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione; successivamente è stato modificato dall’art. 1, L. 7 febbraio 1992, n. 181, che ha inserito un espresso riferimento alle Comunità europee: dopo tale inserimento la disposizione normativa puniva con la reclusione da 6 mesi a 4 anni il fatto di «chiunque, estraneo alla pubblica amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico o dalle Comunità europee contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere od allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non li destina(va) alle predette finalità».

Pertanto, ad onta del riferimento esclusivo allo Stato nella rubrica dell’articolo, la soggettività passiva del reato doveva riconoscersi anche in capo a qualunque altro ente pubblico nonché alle Comunità europee. 

La rubrica e la formulazione dell’articolo sono stati da ultimo modificati dal decreto-legge n. 13/2022, recante «Misure urgenti per il contrasto alle frodi e per la sicurezza nei luoghi di lavoro in materia edilizia, nonché sull’elettricità prodotta da impianti da fonti rinnovabili» (c.d. decreto frodi), il cui art. 2, al fine di rafforzare il contrasto alle frodi in materia di erogazioni pubbliche, alla luce delle notizie di operazioni illecite che hanno riguardato le agevolazioni fiscali note come “superbonus”, per un verso ha adeguato la rubrica all’effettivo contenuto della norma (oramai riferibile a erogazioni « pubbliche » e non più solo a quelle di provenienza nazionale) modificandola in “malversazione di erogazioni pubbliche”; per altro verso ha sostituito le parole da «o finanziamenti» a «finalità» con le seguenti: «finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, destinati alla realizzazione di una o più finalità, non li destina alle finalità previste» estendendo, così, l’applicazione della fattispecie, fino ad oggi circoscritta alla distrazione di contributi, sovvenzioni o finanziamenti pubblici, anche ai mutui agevolati e alle altre erogazioni pubbliche, comunque denominate.

2. L’interesse tutelato

La finalità della previsione incriminatrice è da ravvisare nell’esigenza di tutelare la «destinazione» dei finanziamenti pubblici (ovvero “l’interesse a che le somme erogate per pubbliche finalità dallo Stato, dagli enti pubblici ovvero dagli organismi Europei vengano realmente utilizzate per tali scopi” cfr. Cass. Pen. Sez. VI, 19 maggio 2022, n. 19851), contrastando la condotta di chi, ottenuto un finanziamento con vincolo di destinazione alla soddisfazione di un determinato interesse pubblico, non lo impieghi per soddisfare la finalità preordinata.

Il bene giuridico tutelato è pertanto costituito dalla corretta gestione delle risorse pubbliche destinate a fini di incentivazione economica. 

Di recente la Corte di Cassazione ha precisato che nel caso di una erogazione che, per ragioni oggettive (avvenuta ricostruzione dell’immobile danneggiato dal sisma secondo il progetto assentito e con il contributo erogato) e che prescindono da quelle occasionali dell’elargizione (determina del Comune de L’Aquila con la quale erano state erogate per errore ulteriori somme), risulti di fatto non vincolata, non v’è possibilità giuridica di malversazione e quindi di consumazione del reato, che si sostanzia nella violazione del vincolo di destinazione delle somme ricevute (Cass. Pen. Sez. VI, Sentenza 8 giugno 2022, n. 22397 nel caso di specie ha ritenuto infondata l’originaria accusa di malversazione ai danni del Comune di L’Aquila in relazione alla percezione da parte del ricorrente della somma di 200.000,00 Euro erroneamente erogatagli, perchè aggiuntiva rispetto all’ammontare del contributo deliberato, dall’ente locale per la riparazione dell’abitazione di proprietà danneggiata dal terremoto). 

Esame Avvocato - Commentario Breve al Codice Penale - Complemento Giurisprudenziale


3. Soggetto attivo

Nonostante la collocazione sistematica della fattispecie criminosa nel capo I del titolo II del libro II del codice penale, dedicato ai «delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione», la malversazione si configura come reato comune, potendo essere commessa da “chiunque” soddisfi le condizioni prescritte dalla norma ovvero sia estraneo alla PA e sia beneficiario di un finanziamento pubblico, vincolato a soddisfare le finalità di interesse generale individuate dal precetto che ha autorizzato l’erogazione; altri (FIANDACA-MUSCO, PELISSERO) lo definisce “proprio” in ragione della necessaria ricorrenza delle due condizioni predette.

Poiché la norma usa la locuzione “estraneo alla P.A.” per connotare il soggetto attivo del reato, si è posto il problema di come interpretare tale concetto, se in senso rigido, e quindi escludendo tout court tutti i soggetti inseriti in un qualunque apparato pubblico, ovvero in senso ampio, avendo riguardo per la definizione della soggettività attiva anche all’altra condizione prevista dalla norma: orbene, la Corte di Cassazione ha, sul punto, optato per la seconda interpretazione e ha precisato che la nozione di “estraneità” alla pubblica amministrazione deve intendersi in senso ampio, tale da escludere non solo coloro che non siano inseriti nell’apparato organizzativo dell’amministrazione, ma anche coloro che, pur legati da un vincolo di subordinazione, non partecipino alla procedura di controllo delle erogazioni (Cass. Pen., Sez. VI, Sentenza 22 maggio 2015, n. 21494; Cass. Pen. Sez. VI, Sez. VI, 29 settembre 2005, n. 41178). 

4. Soggetto passivo

Soggetto passivo del reato sono lo Stato, la Comunità europea o altro ente pubblico (da intendersi come il soggetto attraverso cui la pubblica amministrazione esplica la sua attività istituzionale) che ha erogato il finanziamento a condizioni di favore – fino alla gratuità come nel caso delle sovvenzioni – con vincolo di destinazione.

Dalla tassatività dell’elencazione prevista dall’art. 316-bis c.p. consegue che il privato denunciante, non potendo qualificarsi come persona offesa dal reato, non ha la facoltà di proporre opposizione avverso la richiesta di archiviazione formulata dal p.m.

5. Elemento materiale

Quanto all’elemento materiale, il reato in questione consta di un presupposto e di una condotta: il primo è costituito dall’erogazione di un contributo, di una sovvenzione o di un finanziamento di un mutuo agevolato o di qualunque altra erogazione destinata a determinate finalità (Cass. Pen., Sez. VI 28 settembre 1992, Scotti, 27 maggio 1998, Cosentini, e 16 marzo 2000, Abruzzo); la seconda è costituita dalla diversa destinazione che il beneficiario dà a quella somma o a una parte di essa (Cass. Pen., Sez. VI, sentenza 27 maggio 1998, Cosentini; Sezione VI penale, sentenza 16 marzo 2000, Abruzzo); tale destinazione può essere del tipo più variabile, potendo spaziare dal semplice non utilizzo (laddove, ad esempio, la somma rimanga immobilizzata su un conto corrente) all’appropriazione pura e semplice e persino alla realizzazione di opere d’interesse aziendale ma non rientranti fra quelle per le quali il finanziamento era stato concesso: ciò in quanto l’individuazione e la valutazione dell’interesse pubblico da agevolare spetta soltanto allo Stato o al diverso ente pubblico erogante.

Più nel dettaglio, nell’alveo del presupposto del reato, si possono definire la nozione di sovvenzioni con riguardo alle attribuzioni pecuniarie a fondo perduto, quella di contributi con riguardo  alle erogazioni in conto capitale o in conto interessi finalizzate al raggiungimento di determinati obiettivi produttivi, quella di finanziamenti con riguardo ai prestiti caratterizzati da condizioni più favorevoli di quelli esistenti sul mercato, quella di mutui agevolati con riguardo a quelle forme di finanziamento che prevedono un contributo che copre una parte del rimborso del capitale o degli interessi del prestito o comunque una riduzione del carico fiscale sul mutuo e di cui si occupa l’ente istituzionale interessato.

Come anticipato, il decreto frodi, introducendo il riferimento ad altre erogazioni dello stesso tipo di quelle in precedenza menzionate ha provveduto ad un ampliamento delle erogazioni che costituiscono l’oggetto materiale del reato, allineandone la descrizione a quella già contenuta negli articoli 316 ter e 640 bis c.p.

L’alveo applicativo del reato risulta ampliato anche in conseguenza della rimozione della limitazione delle finalità di impiego prima prevista dalla disposizione codicistica, che circoscriveva le erogazioni a quelle «destinat[e] a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere od allo svolgimento di attività di pubblico interesse». Tale limitazione risultava peraltro incompatibile con la formula omnicomprensiva usata dal diritto euronitario che identifica  l’attività distrattiva con qualsiasi azione «tesa a impegnare o erogare fondi o ad […] utilizzar[e beni] per uno scopo in ogni modo diverso da quello per essi previsto, che leda gli interessi finanziari dell’Unione europea» (art. 3 direttiva (UE) 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2017, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale (cosiddetta « direttiva PIF »).

Quanto alla condotta, il reato è integrato non solo nel caso di distrazione «a fini privati», ma anche nel caso di destinazione del finanziamento a soddisfare una finalità di pubblico interesse diversa da quella vincolata, pur anche quando questa fosse stata ritenuta dal beneficiario più urgente e più meritevole di soddisfazione (Cass. Pen., Sez. VI, sentenza 6 giugno 2001, per la quale l’individuazione e la valutazione dell’interesse pubblico da agevolare spetta sempre e soltanto allo Stato o al diverso ente pubblico erogante ), in altre parole, in tutte le ipotesi di variazioni e scostamenti ab initio o in itinere dal progetto finanziato.

6. Elemento soggettivo

L’elemento soggettivo del reato di malversazione di funzioni pubbliche è il dolo generico, consistente nella consapevole volontà di sottrare allo scopo prefissato le risorse derivanti dalla erogazione avente determinate finalità; rimanendo irrilevanti le finalità di qualsiasi tipo che l’agente abbia inteso perseguire diverse da quelle per cui erano state ottenute le erogazioni.

7. Caratteristiche

Il reato in questione, in ragione delle diverse modalità esecutive con cui può realizzarsi si può connotare sia come reato commissivo, quindi come distrazione dell’erogazione dallo scopo tipico, sia come reato omissivo, ovvero come mancato impiego della somma nell’ambito della destinazione vincolata (così, Tribunale di Milano, sentenza 10 novembre 1997, Bottinelli e altro).

Inoltre, in ragione del danno cagionato all’ente erogante, si configura appunto come reato di danno.

8. Momento consumativo

Poiché il reato previsto dall’articolo 316-bis del codice penale ha come scopo quello di reprimere le frodi successive al conseguimento di prestazioni pubbliche (frodi attuate non destinando i fondi ottenuti alle finalità per le quali essi sono stati erogati), si ritiene che lo stesso si perfezioni nel momento in cui si attua la mancata destinazione dei fondi allo scopo per il quale erano stati ottenuti, derivandone che trattasi di reato istantaneo e non permanente  (Cass. Pen., Sez. VI 8 novembre 2002, n. 40375).

Ove si acceda all’interpretazione secondo cui il reato avrebbe anche natura commissiva, attesa la possibilità di integrazione della condotta attraverso la destinazione delle somme erogate ad altro scopo, la consumazione si perfezionerebbe nel momento in cui tale destinazione fosse posta in essere.

Di recente la giurisprudenza di legittimità ha precisato che quando nel contratto compare un termine essenziale – un termine, cioè, oltre il quale la realizzazione dell’opera o del servizio si rivelerebbe inutile – il reato si consuma con la scadenza di questo; quando invece nel contratto manca un termine essenziale, il delitto di malversazione non può considerarsi perfezionato fintanto che residuano spazi per la realizzazione della finalità istituzionale del finanziamento giacchè, diversamente opinando, si finirebbe con l’anticipare il momento consumativo del reato.

Ha precisato la Corte come la conclusione di cui sopra presupponga il rispetto delle altre condizioni essenziali eventualmente previste nella normativa di riferimento e/o nello specifico accordo contrattuale: ai fini dell’irrilevanza penale è, infatti, necessario che l’erogazione non sia subordinata a condizioni e vincoli ulteriori rispetto alla specifica destinazione pubblicistica per cui le somme sono state erogate, condizioni e vincoli il cui mancato rispetto rende dimostrabile sul piano logico che la tutela che la fattispecie intende predisporre è stata irreversibilmente frustrata; ciò, ad esempio, potrebbe accadere là dove l’accordo con l’ente erogatore o la normativa di riferimento prevedano requisiti soggettivi o oggettivi il cui venir meno comporti l’obbligo di restituzione per il beneficiario e il denaro sia invece da questi ritenuto o diversamente utilizzato, oppure quando l’accordo o la normativa contempli, come sovente accade, l’istituzione di un conto dedicato: in tal ultimo caso, infatti, non si potrebbe escludere che la distrazione delle somme versate su tale conto configuri, già in sè, un “non destinare”, a prescindere dalla pendenza del termine (Cass. Pen., Sez. VI, sentenza 19 maggio 2022, n. 19851).

9. Particolare tenuità del fatto

Al delitto in questione è applicabile la circostanza attenuante di cui all’art. 323-bis c.p., per la particolare tenuità del fatto.

10. Rapporto con l’art. 640 bis c.p.

Una precisa notazione merita il rapporto tra il reato in questione e la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis c.p.).

Al riguardo, la dottrina ha evidenziato la complementarità tra le due figure di reato: la truffa aggravata, infatti, incrimina l’illecito conseguimento da parte del privato, mediante artifici e raggiri, di finanziamenti pubblici che non gli spetterebbero e, quindi, la frode a monte; la malversazione a danno dello Stato, al contrario, punisce l’utilizzazione delle risorse pubbliche per un fine diverso e, pertanto, la frode a valle. Nell’ipotesi in cui il privato dapprima, mediante artifici e raggiri, abbia ottenuto risorse che, altrimenti, non avrebbe avuto titolo a percepire e, successivamente, abbia utilizzato tali somme per scopi diversi da quelli indicati dalla legge, la dottrina esclude  il concorso materiale  in omaggio al principio del ne bis in idem sostanziale (Fiandaca – Musco).

La giurisprudenza è divisa: un primo orientamento ritiene infatti che le due fattispecie siano in concorso fra di loro in ragione della mancanza di identità degli interessi protetti (Cass. Pen., Sez. II, n. 29512 del 16/06/2015, Sicilfert s.r.l., Rv. 264232; Cass. Pen., Sez. II, n. 43349 del 27/10/2011, Bonaldi, Rv. 250994; Cass. Pen., Sez. VI, n. 4313 del 02/12/2003, dep. 2004, Gramegna, Rv. 228655). 

L’opposto orientamento ritiene sussistente un concorso apparente di norme, in quanto i comportamenti tipizzati nelle disposizioni in esame sarebbero offensivi del medesimo bene giuridico, poiché il diverso impiego del finanziamento conseguirebbe naturalmente  all’ottenimento dell’erogazione  a seguito di artifici o raggiri  (Cass. Pen., Sez. II, n. 42934 del 18/09/2014; Cass. Pen., Sez. VI, n. 23063 del 12/05/2009, Bilotti, Rv. 244180; Cass. Pen., Sez. II, n. 39644 del 09/07/2004, Ambrosio, Rv. 230365).

Sul punto, sono intervenute le Sezioni Unite (Cass. Pen. S.U., sentenza 28 aprile 2017, n. 20664) le quali hanno optato per la sussistenza di un concorso materiale. In tale direzione deporrebbero secondo l’autorevole Consesso: lo sviluppo storico e sistematico delle due previsioni incriminatrici, rispetto alle quali la mancata previsione di clausole di riserva sarebbe indiziante di una meditata autonomia delle fattispecie; la consumazione in tempi diversi dei due reati, che presupporrebbe una pianificazione autonoma da parte dell’autore; la possibilità astratta di situazioni diverse (“a) il privato ottiene un finanziamento illecitamente e, successivamente, utilizza la somma per scopi privati (l’ipotesi più frequente); b) il privato ottiene con mezzi fraudolenti l’erogazione, ma la destina effettivamente ad opere o attività giustificanti il sostegno economico richiesto (ipotesi più rara ma non certo impossibile); c) il privato ottiene legittimamente il finanziamento, ma omette di destinarlo all’attività o all’opera di pubblico interesse per cui era stato erogato cfr. testualmente la sentenza citata; la circostanza che il reato di cui all’art. 316-ter cod. pen., omologo a quello di cui all’art. 640-bis cod. pen., è punito in modo più mite di quest’ultima incriminazione, cosicché rispetto a questo la fattispecie di cui all’art. 316-bis cod. pen., che si realizzerebbe ove gli importi riscossi vengano sottratti alle finalità a cui erano destinati per essi stabilite, non potrebbe ridursi ad un irrilevante post factum non punibile. 

Responsabilità dell’ente

Nel caso in cui il reato sia stato commesso nell’interesse o a vantaggio di un ente, società o associazione, anche priva di responsabilità giuridica, ad eccezione dello Stato, degli enti pubblici territoriali, degli enti pubblici non economici e degli enti aventi funzioni costituzionali il d.lgs. 231/2001 contempla, per il reato, accanto alla responsabilità penale del singolo autore, anche quella amministrativa dello stesso ente, società o associazione.

Tale disciplina prevede che la responsabilità amministrativa dell’ente quando il delitto sia commesso, nell’interesse o vantaggio del medesimo, dai soggetti indicati dagli articoli 5 e 6 del d.lgs. 231/2001, ossia da chi rivesta funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione, o eserciti anche di fatto la gestione o il controllo dell’ente, ovvero da chi sia sottoposto alla direzione o vigilanza di una delle persone appena individuate.

11. Aspetti processuali

Sanzione: la pena prevista per il reato di cui all’art. 316-bis c.p. è la reclusione da sei mesi a quattro anni. Alla condanna consegue la confisca obbligatoria dei beni, la quale può realizzarsi anche per equivalente.

Procedibilità: d’ufficio.

Autorità giudiziaria competente: Tribunale collegiale

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12. Bibliografia

AA.VV, Manuale di diritto penale parte speciale, Roma 2010, Dike giuridica p.150; 
BENUSSI, Note sul delitto di malversazione a danno dello Stato, in Riv. trim. dir. pen. Econ., 1997;
BOLOGNINI, Malversazione a danno dello Stato, in I delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., Padova, 1999;
COPPI, Profili dei reati di malversazione e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, in Reati contro la pubblica amministrazione, Torino, 1993;
GAMBARDELLA, Art. 316-bis. Malversazione ai danni dello Stato in Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina di G. Lattanzi, Milano, 2010;
GULLO, Malversazione a danno dello stato (Art. 316-bis), in Dizionario dei reati contro l’ economia, Milano, 2000;
FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, parte speciale, Bologna, 2001, p.198;
MARCONI, Malversazione ai danni dello Stato, in Reati contro la pubblica amministrazione, Torino, 1993;
PATALANO, La malversazione a danno dello Stato, Torino, 2003;
PELISSERO, Osservazioni sul nuovo delitto di malversazione a danno dello Stato, in Riv.it. Dir. Proc.pen. 1992; PISA, Malversazione a danno dello Stato, in I delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione, Torino, 1996.

 

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