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La proposta esperienziale dell’agriturismo può accompagnarsi sempre di più con la grande attrattività del Made in Italy agroalimentare, a patto però di caratterizzarsi per autenticità e solidità delle basi culturali”, dice il rapporto 2024 dell’ISMEA sull’agriturismo. Un rapporto che sancisce il perdurante successo di questa tipologia di ospitalità, che in Italia oggi conta su oltre 25mila aziende e mezzo milione di posti a sedere nei relativi ristoranti.

E proprio su questi ultimi ci concentreremo: i ristoranti degli agriturismi. Ce ne sono di virtuosi, premettiamolo, ma ce ne sono anche tantissimi che rappresentano una delusione proprio sotto i profili che sottolinea l’ISMEA: le basi culturali e l’autenticità. In quanti tra le decine di migliaia di agriturismi italiani riescono ad offrire un prodotto autentico? Al di là di ciò che impongono le norme, quanta della materia prima è realmente prodotta in azienda o nelle aziende circostanti? Quanto invece proviene dalla grande distribuzione? E anche quando il prodotto è realmente aziendale, si tratta di un prodotto allevato o coltivato in maniera davvero qualitativa? Il grande successo degli agriturismi – riguardo alla ristorazione – si basa sulla qualità oggettiva del cibo che offrono oppure sulla capacità di mettere in tavola pasti assai abbondanti a cifre relativamente basse, senza badare troppo alle provenienze?

Un dibattito sui meriti e i demeriti dell’agriturismo. Parlano i protagonisti e gli esperti

Abbiamo chiesto a gastronomi, imprenditori del settore ed esperti cosa ne pensano e sono in effetti emerse molte molte perplessità. 

Chi produce in maniera vera e senza compromessi ha costi al limite della follia. Ecco perché non sta insieme la retorica dell’agriturismo con pasti a 30€: c’è un grande equivoco, ovvero che autoprodursi tutto sia per l’azienda agricola più economico che comprare all’esterno. Ecco, non è così”, spiega Nicolò Quarteroni di Ferdy Wild, azienda agricola che è riuscita ad affermare un modello e un linguaggio nuovo all’insegna dell’accoglienza agricola montana, dell’allevamento, della mungitura e della produzione di montagna. “Qui abbiamo sovvertito l’idea classica dell’agriturismo con menu fisso a poche decine di euro, cibo a centro tavola e vino di dubbia qualità. Ci siamo concentrati sulla valorizzazione di queste terre, dalle erbe ai formaggi fino alle aziende vinicole del territorio. Tutto questo non può essere a buon mercato, perché avere una filiera interna significa grandi investimenti e grandi costi. E anche l’ospite deve mettersi nella giusta predisposizione: in campagna o in montagna si mangia quello che è a disposizione, non si chiedono filetti o costate, perchè l’azienda agricola deve usare tutte le parti dell’animale. Noi dopo anni di ricerca siamo arrivati a marinare ed affumicare il fegato di vacca per poi utilizzarlo come bottarga!”.

Contrada Bricconi

L’agriturismo? Una menzogna legalizzata

Torniamo in città con Giuseppe Zen, che pur avendo rapporti quotidiani con allevamenti e aziende agricole (anche agrituristiche) gestisce a Milano Macelleria Popolare, la bottega dove trovare le migliori selezioni di carni della città, volendo anche cucinate sul posto. “L’agriturismo è una menzogna legalizzata”, taglia corto Zen, “luoghi di campagna più o meno ameni che in molti casi tirano fuori pranzi precotti e salumi e formaggi dozzinali. E gli avventori sono contenti così perché mangiano tanto e spendono poco. Mangiano male? Ma a loro non importa, tanto è lo stesso ‘male’ che mangiano a casa e dunque non percepiscono la differenza, però stanno in un contesto bucolico. Spendono poco, sì, ma a fronte di 30 euro a persona il food cost di quanto si serve sarà di uno o due euro. Poi ci sono invece gli agriturismi che servono i prodotti aziendali. Già, ma come vengono allevati e coltivati questi prodotti?”. E dunque come dovrebbe essere l’agriturismo oggi? “Mi proietto a come vorrei vedere gli agriturismi nel 2050: posti straordinari, con una cura maniacale nell’agricoltura, ma anche nel paesaggio e nell’architettura, dove vengono coinvolti veri cuochi a maneggiare le materie prime, persone che hanno studiato uscendo un po’ dalla retorica della nonna e della zia ai fornelli. Qualche esempio già c’è, altroché: Contrada Bricconi, Cascina Lago Scuro e La Fiorida in Valtellina, che mi pare un caso particolare perché alle spalle c’è una azienda agricola anche grande e robusta”.

El Brite de Larieto

Ogni regione una legge sull’agriturismo: il caos

Ludovica Rubbini è – assieme allo chef e marito Riccardo Gaspari – alla base del successo del modello SanBrite, il ristorante che ha rilanciato la cucina di ricerca a Cortina d’Ampezzo. Non tutti sanno che alla base del progetto SanBrite c’è El Brite de Larieto, l’agriturismo dei genitori di Riccardo, dove tutto è cominciato. “Secondo me in Italia è difficile mantenere un equilibrio tra autenticità e richiesta del mercato. La gente è abituata a non valorizzare il lavoro dell’agricoltura, sono abituati a spendere poco e non capiscono che questo va a detrimento della qualità. Noi talvolta prendiamo delle recensioni negative perché le persone sostengono che essendo un agriturismo non possono spendere cifre superiori ad una certa soglia. Colpa di noi agricoltori che non siamo mai stati capaci di valorizzare il nostro lavoro. Ma anche colpa del contesto normativo, innanzitutto il caos provocato dalle leggi regionali diverse per ogni regione, e poi la giungla di incentivi fiscali, agevolazioni, bonus immobiliari: finisce che chi apre un agriturismo non lo fa per una volontà autentica di celebrare il territorio e i suoi prodotti ma per speculare sfruttando i vantaggi offerti dalle normative. Noi cerchiamo di destrutturare l’idea comune di agriturismo“.

The Gardener - Michele Milani e le sue cucine

L’agriturismo deve sovvertire completamente il suo paradigma

Da tutt’altra parte d’Italia – nello specifico nelle valli piacentine – anche Michele Milani nell’azienda agricola The Gardener lavora a fianco di suo figlio Jacopo per destrutturare il vecchio concetto di agriturismo proponendo qualcosa di gastronomicamente nuovo, sostenibile e seria risposta all’attuale crisi d’identità della ristorazione. “I clienti medi degli agriturismi si aspettano grandi quantità di cibo a basso costo e con la disponibilità anche di trovare lo zoo degli animali a disposizione di chiassosi bambini lasciati più allo stato brado che il bestiame. Ma dove sta scritto che andando a mangiare in campagna si debba spendere poco? Dove è iniziato questo equivoco? Andare a mangiare cibo vero e genuino costa di più, non di meno rispetto a un pasto standard. Oggi l’agriturismo tende a scimmiottare in peggio il ristorante, mentre potrebbe avere tutta la possibilità di offrire un’alternativa di alta qualità. Andrebbe sovvertito completamente il paradigma. Eccezioni ce ne sono, ma appunto si tratta di eccezioni. Faccio due nomi: Il Battibue di Fiorenzuola e La Preséf dell’azienda Fiorida di chef Gianni Tarabini. Qui di certo non troverete i soliti piatti di derivazione industriale…“.

Fattoria Faraoni, il ristorante all'aperto

Ci sono responsabilità di Coldiretti su questa retorica del genuino? (Sì!)

Recentissimamente abbiamo parlato di un caso di progettualità agrituristica pensata, equilibrata e ragionata nata nel Lazio in quel di Sutri con la Fattoria Faraoni che da poco ha deciso di puntare anche sulla ristorazione con un’impostazione che valorizza la filiera. Ma in quella zona lo stesso si può dire ad esempio di Pulicaro. Per continuare il nostro percorso però seguiamo il suggerimento che Giuseppe Zen ci aveva dato all’inizio e diamo la parola a Luca Grasselli, cuoco, contadino e filosofo di Cascina Lago Scuro. Una realtà pochi km fuori Cremona che è tra gli esempi più fulgidi di multifunzionalità agricola e apertura (per chi riesce a prenotare!) all’insegna di un’attività che va dal caseificio all’orto, passando per la ristorazione e la panificazione. “Fiscalmente siamo un agriturismo, certo“, spiega Luca a CiboToday, “ma quando i nostri clienti pronunciano questa parola facciamo sempre un passo indietro. È un termine che è stato fatto perdere di significato quasi fin dall’inizio e fa parte di quei grandi equivoci italiani anche purtroppo alimentati da Coldiretti, sempre alla difesa di un cibo italiano che in realtà non esiste. Il cibo italiano non è mai in difesa ma sempre all’attacco, nel senso che è aperto al confronto con quello che è fuori, che è vicino, ma che è anche lontano. A noi piuttosto piace infatti definirci ‘cucina in cascina’ e creare una sostenibilità che non deve essere economica alterando il tuo ecosistema con aumento dei numeri e false fatture e retorica del km0, ma deve essere una sostenibilità valoriale che crea una rete fitta di relazioni e di connessioni. Bisogna fare il vero agriturismo che ti dà un’esperienza autentica e coerente di un determinato tipo su tutti quanti gli aspetti. Tutto questo può essere molto lento perché è un processo culturale“. Ed eccoci che torniamo all’inizio di questo articolo e a quel rapporto ISMEA 2024 sull’agriturismo che ne pone i pilastri nell’autenticità e, soprattutto, nella solidità delle basi culturali. E sul cambio di paradigma dobbiamo essere tutti d’accordo: occorre più cultura, più ricerca, più studio, più approfondimento per fare un ristorante agricolo che per fare un sofisticato bistrot cittadino. 

Cascina Lago Scuro

L’importanza di un cambiamento culturale a partire dal pubblico

È proprio vero che occorre un cambiamento culturale“, dice il giornalista Luca Martinelli, tra i più attenti alle dinamiche agricole e delle aree interne in Italia, “ma fintanto che il pubblico continuerà a chiedere all’agriturismo quello che chiede oggi sarà davvero difficile evolvere. Tra l’altro quello che mi sorprende è che in questa continua richiesta di grandi quantità a basso prezzo diamo per scontato un clamoroso spreco, soprattutto di proteine animali. La spinta a cambiare il tipo di ristorazione legata all’agriturismo deve venire dagli avventori, altrimenti parleremo solo di eccezioni“.

Polisena L'altro agriturismo visto dall'alto, ph. Alex Persico

Alla ricerca dell’agriturismo vero e della mappa dei migliori agriturismi in Italia

Ne abbiamo citate tante di eccezioni, Contrada Bricconi, Cascina Lago Scuro, Pulicaro, Faraoni, Fiorida, Brite de Larieto, The Gardener. Potremmo senz’altro aggiungere Manuel Lombardi e Le Campestre per dare qualche indicazione anche al Sud. Ma ripromettendoci di compilare una quanto mai necessaria mappatura dei migliori agriturismi italiani chiediamo a Martinelli di chiudere questa indagine segnalandoci le sue scoperte degli ultimi anni: “Mi stanno sorprendendo alcuni operatori che sono usciti dalla comfort zone, facendo agriturismo vero, investendo sulla cucina dopo decenni e abbandonando la trappola del menu fisso. Il primo esempio che mi viene in mente è quello di Valli Unite a Costa Vescovato sui Colli Tortonesi che ha avuto una bella evoluzione; mi colpisce poi quello che sta succedendo alla Corte d’Aibo sui Colli Bolognesi in Valsamoggia, dove c’è una giovane chef che valorizza tantissimo il vegetale, così smontiamo anche l’equivoco secondo cui se c’è un agriturismo ci deve essere per forza una brace dove passa della carne. Poi c’è il ristoro agricolo della Fattoria Sardi a Lucca dove da qualche anno opera Damiano Donati, uno degli chef migliori della sua generazione con grande selezione di materie prime scelte per lo più nella Lucchesia. Una cucina interessante con un menu che cambia ogni mese a poco più di 50 euro. E aggiungo per finire l’esperimento di Polisena, un agriturismo vegetariano che è riuscito a convincere il proprio pubblico a lasciarsi guidare“. E voi, quando andate in agriturismo, vi sentite disposti a farvi guidare e a vivere l’esperienza di un agriturismo vero? E visto che in questa inchiesta l’espressione è emersa più volte, chissà che non ci siano gli spazi normativi per inventare una nuova dicitura per chi lavora in maniera inattaccabile: “agriturismo vero“.

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