Un bagno di realismo. Kamala Harris, candidata alle presidenziali Usa per il Partito democratico e vicepresidente uscente, ha innestato la retromarcia su un tema chiave per i dem, la sostenibilità ambientale. Il riposizionamento le consente di accorciare le distanze rispetto al repubblicano Donald Trump e la Harris lo ha giustificato dicendo: «La campagna elettorale mi ha permesso di conoscere meglio le esigenze degli americani». Un bagno di realismo, appunto, in nome del quale stempera gli eccessi dell’ideologia green e punta a riconquistare consensi presso la classe media.
Tra i cambi di marcia, quello sul fracking, una tecnica utilizzata per estrarre petrolio e gas naturale da formazioni rocciose sotterranee, considerata pericolosa e inquinante dagli ecologisti. La Harris non la appoggia, ma oggi dice che non la ostacolerà , a differenza di quanto promesso nel 2019 quando, da candidata vicepresidente di Joe Biden, categorica aveva detto: «Siamo per lo stop al fracking sin dal primo giorno».
E poi le auto: in Usa la rottamazione delle vetture a motore termico è prevista per il 2040, 5 anni dopo la data ad fissata nell’Unione europea. Oggi la Harris dice: «Non vi dirò mai quale auto guidare». Già perché, seppure in misura e in condizioni assai diverse rispetto alla vecchia Europa, la sfida della decarbonizzazione ha dei costi che anche gli Usa non possono reggere a parità di benessere per le famiglie. Al di là di chi vincerà le presidenziali del 5 novembre, rimarrebbe solo l’Ue a persistere sulla strada del Green Deal, stretta tra due giganti, sia in termini di inquinamento che di produttività e potenza economica, Cina e Usa. Anche se le uscite del ministro dell’economia tedesco, il verde Robert Habeck, di appoggio al ministro italiano Urso nella richiesta alla Commissione Ue di anticipare al 2025 la possibilità di rivedere la scadenza sul motore a scoppio, fanno pensare che il tarlo del dubbio, davanti alla crisi dilagante del settore dell’auto, inizi a serpeggiare anche da noi.
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