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Avvocati. Doveri di probità, dignità e decoro: atipicità dei comportamenti e sanzioni disciplinari #finsubito prestito immediato


Fonti: https://www.consiglionazionaleforense.it/

In materia disciplinare forense non è prevista una tassativa elencazione dei comportamenti vietati, in quanto nel nuovo sistema deontologico forense non opera il principio di stretta tipicità dell’illecito, proprio del diritto penale, ma il sistema si informa al principio della tipizzazione della condotta disciplinarmente rilevante e delle relative sanzioni “per quanto possibile” (art. 3, co. 3 cdf). Ciò in quanto, la variegata e potenzialmente illimitata casistica di tutti i comportamenti, anche della vita privata, costituenti illecito disciplinare non ne consente una individuazione dettagliata, tassativa e non meramente esemplificativa (CNF, sentenza n.166 del 7 maggio 2024).

Casistica. Ecco una casistica in cui Consiglio Nazionale Forense è tornato a ribadire l’importanza del dovere che incombe sull’avvocato di comportarsi in ogni situazione con la dignità ed il decoro imposti dalla funzione che svolge, che comporta doveri additivi rispetto al comune cittadino, a salvaguardia della reputazione e dell’immagine dell’Avvocatura.

Sanzione dell’avvertimento per l’avvocato che commette il delitto di lesioni personali. Il Consiglio nazionale forense ha respinto il ricorso avverso il provvedimento del CDD con cui un avvocato è stato sanzionato con l’avvertimento per aver colpito al volto una persona con una testata, cagionandogli lesioni personali guaribili in complessivi giorni 84, quali frattura ossa nasali, con l’aggravante per la riduzione permanente della funzione respiratoria dovuta alle percosse subite (delitto di lesioni volontarie, anche gravi e gravissime ex artt.582 e 583 comma 1 nn.1 e 2 c.p.).

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Sebbene l’incolpato abbia invocato la legittima difesa, affermando di essere stato afferrato dal collo e che non gli sarebbe stato possibile allontanarsi ed evitare lo scontro, né astenersi dal colpirlo, il Consiglio Nazionale Forense ha ritenuto non sussistenti i presupposti per l’invocata scriminante della legittima difesa. 

 Il Consiglio, esaminando la documentazione in atti ha evidenziato come “la reciproca colluttazione avrebbe potuto essere agevolmente evitata, qualora il ricorrente avesse adottato un diverso comportamento, elusivo dello scontro e quindi più consono alla probità, dignità ed al decoro qualificanti la funzione che l’Avvocatura svolge e che deve informare non solo l’espletamento dell’attività forense, bensì anche la dimensione privata del professionista, ciò a salvaguardia della reputazione e dell’immagine dell’Avvocatura” (CNF, sentenza n.173 del 7 maggio 2024).

Sanzione della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per due anni. In altro caso il Consiglio Nazionale Forense ha esaminato il ricorso avverso provvedimento con cui il CDD ha irrogato la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per due anni all’avvocato che osservato, al di fuori dell’esercizio della sua attività professionale, i doveri di probità, dignità, decoro e lealtà non salvaguardando così la propria reputazione e l’immagine della professione forense. Le condotte tenute dall’avvocato sono consistite, tra le altre, in:

  • minacce di morte nei confronti di sua moglie e della madre di quest’ultima, nonché minacce di uccidere i propri figli minori avuti dalla moglie, con il ricorso alla criminalità organizzata internazionale per attuare l’intento omicidiario;
  • l’aver ricevuto compenso ed onorario per l’espletamento di incarichi difensivi mai svolti, nonché la mancata consegna della documentazione relativa all’affare al difensore subentrato e l’invio allo stesso difensore dei file audio e messaggi recanti espressioni offensive lesive dell’onore e della reputazione di quest’ultimo.

Riguardo a tali illeciti il Consiglio ha affermato che le minacce avverso terzi non possono essere riferite ad un ambito strettamente privato, proprio in virtù della mancata tipicità degli illeciti disciplinari e della variegata e potenzialmente illimitata casistica di tutti i comportamenti anche privati costituenti illecito disciplinare.

 Conseguentemente, pur in mancanza della previsione di uno o più comportamenti e della relativa sanzione è comunque possibile contestare l’illecito anche sulla base della norma di chiusura, secondo cui “la professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza” (art.3 co.2 cdf.).

Quanto alle espressioni sconvenienti ed offensive (art. 52 cdf), il Consiglio ha sottolineato che esse assumono rilievo di per sé, indipendentemente dal contesto in cui sono utilizzate e dalla attendibilità dei fatti che ne costituiscono oggetto. Ciò in quanto il relativo divieto è previsto a difesa della dignità e del decoro della professione. Pertanto anche in presenza di condotte criticabili o perfino illecite dei colleghi o di terzi, l’avvocato ha il dovere di manifestare la propria opinione o di formulare la propria denuncia in maniera riguardosa della personalità e della reputazione altrui indipendentemente dalla considerazione delle possibili conseguenze civilistiche o penalistiche della condotta.

La sanzionabilità. Sul piano sanzionatorio, il Consiglio ha rilevato che la violazione dei doveri di probità, dignità, decoro ed indipendenza (art.9 cdf) e dei doveri di lealtà e correttezza verso i colleghi e le istituzioni forensi (art.19 CDF) non sono assistite da sanzioni disciplinari tassativamente individuate. Pertanto, poiché nel caso di specie la sanzione edittale prevista per le ulteriori violazioni deontologiche contestate all’incolpato (artt. 26, 33, 52 e 63 CDF) è quella della censura aggravabile nella sospensione fino ad un anno, il Consiglio, tenuto nel debito conto la gravità della condotta, della sua reiterazione, della molteplicità dei soggetti verso cui si indirizzavano le minacce e la gravità e gratuità delle offese rivolte al collega, ha mitigato la sanzione inflitta riducendola ad un anno di sospensione dall’esercizio professionale (CNF sentenza n.166 del 7 maggio 2024). 

 

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