Farà da precedente esemplare il contributo-tassa delle banche e delle assicurazioni che evoca la storiella di quel curato che, volendo mangiar carne di venerdì allora contro la dottrina della Chiesa, battezzò la bistecca come carpa e pranzò? Si tratterà di una nuova forma soft di imposizione destinata ad allargarsi in futuro in altri settori? E quid per il non nominato comparto dell’energia?
E come la misura si raccorda con quella adottata per le banche lo scorso anno con l’alternativa tra tassazione e conferimento al patrimonio? La premier Giorgia Meloni ha dichiarato che il governo non è nemico delle banche (e ci mancherebbe che un esecutivo possa essere aprioristicamente ostile a un soggetto sociale!) e che c’è collaborazione.
I pareri dalle istituzioni
Intanto, però, i vertici dell’Abi – che con il presidente Antonio Patuelli parlano di un apporto tecnico, non politico, dato all’operazione e aggiungono che il peso è sopportabile se la crescita aumenta – si riservano una valutazione definitiva quando leggeranno il tutto compiutamente – quindi cifre, tempi, modalità, etc. – a partire dal disegno di Legge di Bilancio.
Vi è poi la necessità, trattandosi di un norma che interviene in materia bancaria, di acquisire il preventivo parere della Bce, che ieri ha assunto una decisione – tutta da valutare in relazione al futuro prossimo – in materia di tassi e politica monetaria, di quella funzione, cioè, che, per la dura restrizione praticata in questi anni e che adesso comincia invece ad essere allentata, è alla base dei profitti non comuni registrati dalle banche.
La funzione delle banche
Sarà interessante leggere l’opinion dell’istituto centrale, la cui Vigilanza, con il Supervisory Board, insiste molto sul rafforzamento patrimoniale degli istituti. Il riferimento alla crescita testé ricordato è importante. Ad essa concorrono le banche le quali, a loro volta, traggono forza dalla crescita stessa; ma quest’ultima è, innanzitutto, frutto delle riforme strutturali e di politiche europee e nazionali che, in raccordo con la politica monetaria, aggrediscano i nodi della produttività e dell’innovazione, dello sviluppo.
Per lungo tempo, si è ritenuto che le banche potessero essere in qualche modo strumenti di politica economica. Ciò discendeva, innanzitutto, dalla natura pubblica di molti istituti e dalla configurazione, anche in sede giurisdizionale, del banchiere come titolare di una funzione pubblica con tutto quel che ne discendeva in sede civile e penale. A poco a poco, però, si è affermata la concezione della banca come impresa, sia pure soggetta a vincoli e controlli speciali per la tutela del risparmio. La seconda Direttiva europea in materia bancaria, agli inizi degli anni 90 del secolo scorso, sancì definitivamente tale natura che in precedenza, progressivamente, la Banca d’Italia aveva cercato, nei limiti delle sue disposizioni, di fare introiettare al settore. L’affermarsi della concorrenza e delle relative regole ha rafforzato il carattere di impresa.
Possono dunque gli istituti essere sottoposti a queste forme straordinarie di prelievo, che, per rifarsi all’espressione «non vittoria» adottata nel dibattito politico a proposito di una competizione elettorale, si potrebbe definire della «non tassa»? In linea generale sì, ma con l’osservanza di tutte le condizioni e i limiti indicati dalla Consulta in occasione della bocciatura della Robin Tax nel 2015. In precedenza, era stato introdotto ad tempus anche il contributo straordinario cosiddetto di solidarietà su stipendi e pensioni superiori a determinati importi, giudicato dalla Corte ammissibile.
Si tratta ora di vedere, come accennato, se e quali sviluppi prenderà la linea del contributo-tassa. Intanto anche per un bilanciamento tra i diversi settori incisi o avvantaggiati occorrerà approfondire le diverse misure della manovra proposta, con particolare riferimento all’effettivo ammontare del finanziamento in deficit, alle risorse per la sanità, alla redistribuzione e, in questo contesto, al trattamento del ceto medio e allo sviluppo. (riproduzione riservata)
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