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Continua la crisi demografica in Italia. Nel nostro Paese nascono sempre meno bambini e il 2023 ha fatto segnare un nuovo record negativo. Sono stati soltanto 379mila i nuovi nati, una tendenza che sarebbe confermata anche per il 2024. Anche il tasso di fecondità è sempre più basso, anche se non al record negativo assoluto. Si attesta infatti a 1,20 figli per donna in età fertile, di poco superiore a quello fatto segnare nel 1995.

Le ragioni di questa flessione sono varie e hanno a che fare con le condizioni economiche delle persone che vivono nel nostro Paese, la fiducia nel futuro e la mancanza di servizi fondamentali per l’assistenza ai genitori. Il Governo ha provato a introdurre in Manovra finanziaria alcune norme per incentivare le nascite, soprattutto la carta neonati, da 1.000 euro. Crescere un figlio in Italia può però essere costosissimo, anche se ci sono aree in cui la spesa è minore.

Le nascite in Italia continuano a diminuire

L’ultimo rapporto dell’Istat sulla natalità in Italia ha confermato la gravissima crisi demografica che il nostro Paese sta vivendo da più di un decennio. L’Istituto di statistica ha raccolto ed elaborato i dati definitivi del 2023, che mostrano un numero di nati pari a 379.890, con un calo del 3,4% rispetto al 2022. Sembra essere ripreso il ritmo di calo precedente alla pandemia, dopo che tra 2020 e 2022 la diminuzione delle nascite sembrava aver rallentato sensibilmente.

Il numero di bambini che nascono nel nostro Paese è ormai stabilmente sotto i 400mila all’anno. Le cause di questa crisi sono varie e partono da un problema puramente demografico. Buona parte delle donne considerate in età fertile sono nate nel cosiddetto periodo del baby-bust, tra il 1975 e il 1995, quando ci fu un forte calo delle nascite e del tasso di fecondità fino al record negativo storico del 1995, 1,19 figli per donna, che ancora resiste ma è sempre più vicino a crollare, dato che nel 2023 si è attestato a 1,20.

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A questo calo naturale delle nascite, dovuto banalmente al minor numero di donne in età fertile rispetto al passato, si aggiungono una serie di fattori economici e sociali. Gli stipendi italiani sono gli unici a non essere cresciuti negli ultimi 20 anni in Europa e questo ha diminuito il potere d’acquisto delle famiglie. Fare un figlio è quindi diventato proibitivo per moltissime coppie, anche a causa della mancanza di servizi adeguati che permettano di continuare a lavorare anche dopo aver avuto un bambino.

Tra i servizi mancanti ci sono gli asili nido. Nonostante la bassissima quantità di bambini nati ogni anno, soltanto il 30% di loro potrà trovare posto in una di queste strutture. Ne consegue che le famiglie sono costrette a fare affidamento su altri familiari, molto spesso i nonni, o in mancanza di opzioni di questo tipo, sacrificare la carriera di uno dei due genitori per accudire il neonato. La scelta ricade quasi sempre sul membro della coppia cono lo stipendio minore e, dato che in Italia le donne sono pagate in media meno degli uomini, questo contribuisce al problema della disoccupazione femminile.

Cos’è la posticipazione delle nascite

Secondo l’analisi proposta da Istat sta inoltre continuando un fenomeno di posticipazione delle nascite. Questo avviene quando le coppie sarebbero nelle condizioni di fare figli, ma preferiscono ritardare la scelta per fattori esterni non per forza legati all’età, alla situazione economica della coppia o al grado di maturità della relazione. Questa tendenza è segnalata da due dati, il calo del numero di primogeniti e l’aumento dell’età in cui le donne diventano madri.

Entrambi questi dati sono stati confermati, nella direzione di un aumento della posticipazione, anche nel 2023. L’età media delle nuove madri, limitata a coloro che hanno un figlio per la prima volta, è di 31,7 anni, mentre quella media a cui si fa un figlio è 32,5. Cala inoltre anche il numero di primogeniti, ma queste tendenze potrebbero preannunciare una piccola ripresa delle nascite in futuro.

Ci troviamo infatti nel periodo peggiore dell”eco” del 1995. Le donne nate nell’anno di minore fecondità della storia d’Italia si stanno avvicinando all’età media in cui si diventa madri. Nel prossimo decennio si potrebbe quindi assistere, anche davanti a un calo contenuto della fecondità, a una ripresa del numero dei nati. Inoltre, se le condizioni economiche e sociali dovessero migliorare, i figli posticipati negli ultimi anni potrebbero essere recuperati, come accaduto tra il 1996 e il 2008, quando il tasso di fecondità in Italia raggiunse 1,44.

Quanto costa fare un figlio in Italia, da Nord a Sud

Per incentivare questa ripresa il Governo ha messo a disposizione in Manovra un aiuto alle famiglie che decidono di fare un figlio. Una carta neonato da 1.000 euro per ogni bambino nato in una famiglia che abbia meno di 40mila euro di Isee. Si tratta di una delle misure che l’esecutivo pensa possano incentivare le nascite. Oltre a questa anche la nuova rimodulazione delle detrazioni fiscali, che avvantaggia le famiglie con figli a discapito di single e coppie senza bambini.

Crescere un figli0 in Italia costa però moltissimo. I dati di Istat e della Banca d’Italia hanno registrato che nel 2023 la spesa media mensile delle famiglie con un figlio era occupata per il 25% dai costi derivati dal suo mantenimento:

  • Alimenti e bevande: 5,5%;
  • Trasporti: 4,5%;
  • Casa: 4,5%;
  • Tempo libero: 4%;
  • Istruzione: 2,25%;
  • Abbigliamento:2,25%;
  • Salute: 1%;
  • Altro: 1%.

In tutto, in media, si tratta di 640 euro al mese. Il nuovo bonus del Governo di Giorgia Meloni non copre quindi nemmeno due mesi delle spese che la crescita di un figlio richiede in Italia. Un paragone che pesa ancora di più se si divide il territorio in aree geografiche:

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  • Costo di crescere un figlio al Nord: 714 euro al mese
  • Costo di crescere un figlio al Centro: 707 euro al mese
  • Costo di crescere un figlio al Sud e nelle Isole: 512 euro al mese

Tra le voci straordinarie che incidono maggiormente in queste spese ci sono soprattutto quelle relative all’accudimento in mancanza dei genitori. Asili nido privati e baby-sitter. Proprio per questa ragione spesso si preferisce sacrificare la carriera di uno dei due genitori piuttosto che sobbarcarsi questi costi. La perdita di uno stipendio, specialmente in alcune zone del Paese, incide meno sulla famiglia del costo dell’accudimento del neonato.





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