Non è soltanto il tanto sventolato Piano Mattei per l’Africa, né la diffusione sempre più frequente e capillare del “Made in Italy” in tante differenti forme e suggestioni. L’Italia è tornata in maniera preponderante tra le nazioni preferite dai kenioti, sia a livello istituzionale sia nell’immaginario collettivo di buona parte dei cittadini. E’ un dato di fatto che si rivela nei numeri (l’importazione e l’apprezzamento dei generi enogastronomici ad esempio, pur con tutte le difficoltà esternate anche recentemente dagli addetti ai lavori al nostro ministro Adolfo Urso) ed anche sulle tante diramazioni dei social network.
Da una parte il mai sopito influsso del turismo: la crescita esponenziale di Watamu come una delle destinazioni di punta non solo del Kenya, ma dell’intera Africa subsahariana, viene da molti identificata come un successo dovuto in buona parte anche all’intraprendenza degli italiani ed alle loro attività, oltre che in base all’arrivo di tanti nostri turisti, dall’altra l’affermazione di marchi e prodotti di casa nostra che influenzano le scelte dei consumatori locali ed anche di attività che abbinano alle loro proposte anche una scelta di “cose nostre”. Questo fenomeno si nota soprattutto nella capitale Nairobi, dove i nomi italiani sono sempre più diffusi e c’è una curiosità ed un interesse sempre maggiore per la nostra cultura e tutto quello che rappresenta nella vita di ogni giorno, specialmente per quel che riguarda i piaceri della vita.
Spuntano ogni giorno locali o attività che richiamano nomi o situazioni italiane: dall’edilizia, dove nuovi residence esclusivi si chiamano “Verona” piuttosto che “Giardino”, firme di design come “Casa Bella” e nuovi ristoranti che non hanno proprietari o gestori italiani, eppure si fregiano di insegne che sembra di stare a Brooklyn, se non proprio a Roma e Napoli. Certo, il fenomeno del cosiddetto “Italian Sounding” a volte può far sorridere, specie quando le parole vengono storpiate (il caso più recente è un negozio di arredamento che si chiama “Otrovato”, tutto attaccato e senza “h”), ma è sintomatico di quanto la nostra lingua sia entrata nel vocabolario e nell’uso comune dei kenioti.
Da questo punto di vista, il lavoro dell’ambasciata italiana, sempre interessata a promuovere le nostre eccellenze ed il nostro “modus operandi” in Kenya, sta facendo la sua parte ed anche nel nostro piccolo il lavoro di promozione su quella che è la filosofia non solo commerciale, ma anche culturale e filosofica che pesca dalla tradizione e dall’arte italiana, stanno iniziando a pagare.
Il recente ritorno d’immagine (feedback, direbbero gli anglofoni) della Settimana della lingua italiana nel mondo, con i suoi strascichi di spettacoli musicali, ne è stato una conferma: i keniani amano l’Italia.
Sono sempre più i giovani artisti, manager, professionisti locali che chiedono visti turistici per visitare il nostro Paese, e non certo come immigrati, per sistemarsi. Semplicemente, vogliono conoscere quella Terra da molti qui indicata come un esempio.
Tra due settimane o poco più inizierà la Settimana della Cucina Italiana nel Mondo, un’altra iniziativa che mette l’Italia sotto i riflettori in questo Paese. Vi saranno iniziative a Malindi, Watamu e Diani, oltre che nella capitale, tra pura promozione, sociale, interazione, incontri, università, social e altro.
E’ il momento in cui ogni italiano in Kenya dovrebbe sentire l’opportunità, ma anche la responsabilità, di essere portabandiera della nostra cultura e di tutto quel che ne può scaturire, e non solo un’opportunista che ha semplicemente un passaporto straniero e pensa agli affari suoi, approfittando della situazione.
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