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Innovazione e intelligenza artificiale al centro deve restare l’etica umana #finsubito prestito immediato


L’intelligenza artificiale (IA) è tornata prepotentemente al centro del dibattito odierno, grazie alla disponibilità di una quantità sconfinata di dati e a una velocità computazionale impensabile qualche decennio fa. Oggi, questi strumenti hanno raggiunto una maturità tale da avere un impatto concreto su molti aspetti della nostra quotidianità, dalla sanità all’industria, dai servizi pubblici all’insegnamento, fino alla finanza. Tuttavia, mentre l’IA ci spinge verso nuove frontiere, emergono interrogativi cruciali: che ruolo avrà l’essere umano in questo nuovo scenario? L’introduzione dell’intelligenza artificiale (almeno quella nota come “debole”) – algoritmi sofisticati capaci di risolvere problemi specifici senza possedere una vera “intelligenza”, se non quella fornita alla macchina dall’essere umano attraverso istruzioni e dati – sta rivoluzionando molti settori. Ad esempio, nella sanità, l’IA può contribuire a diagnosi più rapide e accurate: l’analisi delle immagini mediche permette di identificare segni precoci di malattie con una precisione molto elevata. In finanza, può analizzare milioni di transazioni in pochi secondi, consentendo di ottimizzare gli investimenti e ridurre i rischi. Nell’industria, può migliorare l’efficienza produttiva, ridurre i tempi e i costi di assemblaggio dei prodotti, migliorare il marketing, la riduzione dei difetti di produzione e la manutenzione preventiva. Se è vero, come è vero, che queste elaborazioni richiedono significative capacità computazionali – e di conseguenza, un grande consumo di energia (ci stiamo preoccupando abbastanza di questo?) – i dati sono la linfa vitale, il vero motore di questa transizione digitale. Saranno proprio i dati a trasformare profondamente le nostre relazioni sociali e le dinamiche di business. Chi “controlla” i dati, controlla il futuro. Il modo in cui tutti noi, governi, aziende, pubbliche amministrazioni, piattaforme online gestiremo queste risorse preziose, determinerà il livello di fiducia che avremo nei confronti di queste tecnologie. La raccolta di dati personali e l’automazione decisionale sollevano questioni etiche, di privacy oltre a sfide sulla sicurezza. Siamo già immersi in un cambiamento radicale nel rapporto tra chi genera i dati e chi li utilizza. Garantire che la gestione di queste risorse sia trasparente ed attuata nel pieno rispetto dei diritti di proprietà e della proprietà intellettuale, rappresenta un imperativo categorico. Ma non sono le uniche questioni da monitorare e veicolare “mano nella mano”. Si pensi all’uso di algoritmi di IA nella gestione dei conflitti armati che stanno suscitando preoccupazioni a livello globale. E poi c’è la questione del lavoro. La storia ci insegna che ogni rivoluzione industriale ha sollevato timori riguardo al futuro delle professioni; figuriamoci quando si parla di “intelligenza artificiale”. Personalmente, non credo nella sostituzione del lavoro umano, mentre osservo una sua trasformazione. Molte attività umane vengono migliorate dall’IA, ma ciò richiede nuove competenze e conoscenze (ce ne stiamo preoccupando abbastanza?). Il rischio più insidioso, tuttavia, è di carattere culturale. Se è vero che l’intelligenza artificiale offre straordinarie opportunità – come una maggiore efficienza, servizi su misura e personalizzati, un aumento dell’efficacia nei processi amministrativi e una velocità senza precedenti nella elaborazione delle informazioni – è altrettanto reale il rischio di diventare eccessivamente dipendenti da queste tecnologie. Se iniziassimo ad affidarci completamente alle macchine, rischieremmo di perdere alcune delle nostre abilità più umane: pensiero creativo, giudizio etico e capacità decisionali. Questo sembra particolarmente allarmante tra le giovani e giovanissime generazioni, già immerse in un affascinante mondo ipertecnologico e disponibile all’interno del mondo della formazione e dell’educazione. Ritengo inderogabile affiancare la tecnologia a idonee metodologie di insegnamento, per evitare che questa innovazione didattica si traduca in un boomerang, come già successo in altri grandi Paesi. Nonostante i tangibili benefici, non dobbiamo mai dimenticare che è l’essere umano a programmare e indirizzare le macchine. L’intelligenza artificiale non può sostituire quella umana: le macchine elaborano dati a una velocità straordinaria, ma non possono prendere decisioni etiche, non hanno senso critico, né creatività o empatia – tutte caratteristiche unicamente umane e irrinunciabili. Le abilità come la risoluzione di problemi complessi e la valutazione delle implicazioni morali e sociali restano insostituibili. Ecco perché è assolutamente necessario che l’essere umano resti al centro di questo processo di innovazione digitale, orientando queste innovazioni verso un impiego etico e consapevole. Poiché queste tecnologie hanno un impatto sulla vita di tutti noi, sui nostri diritti, sul rischio di emarginazione sociale, con conseguenze discriminatorie e quindi dannose, è altrettanto fondamentale che l’uso di queste tecnologie sia propriamente regolamentate. L’Europa sta promuovendo una propria legislazione sull’uso degli strumenti di intelligenza artificiale che cerca di andare incontro alle attenzioni sopra sollevate, ma siamo solo all’inizio della rivoluzione/evoluzione, con una velocità davvero impressionante. Su un tema così capillare e invasivo ci si aspetterebbe un quadro giuridico quanto più globale possibile. La digitalizzazione rappresenta una risorsa importante per migliorare la nostra vita quotidiana, ma va adottata responsabilmente. Dal mio punto di vista, quindi, la questione principale non è tanto se la macchina supererà l’essere umano, ma se l’essere umano sarà in grado di non adeguarsi alla macchina, mantenendo la creatività, l’empatia e il pensiero critico come pilastri della propria esistenza e la “misura di tutte le cose”.

*Coordinatore della sezione di informatica di Unicam





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