Presentato l’Osservatorio Itinerari Previdenziali sulle entrate fiscali: il 75,80% degli italiani dichiara redditi fino a 29mila euro, corrispondendo solo il 24,43% di tutta l’IRPEF, un’imposta neppure sufficiente a coprire la spesa per sanità e assistenza. I numeri migliorano ma meno di quanto crescita del PIL e dell’occupazione lascerebbero auspicare e, soprattutto, meno di quanto richiederebbe la sostenibilità del nostro welfare
Il presidente Cida, Cuzzilla: “In Italia vale il principio che maggiore è il contributo fiscale, minori sono i servizi pubblici di ritorno. Quindi chi guadagna, ad esempio, dai 55.000 euro in su (oggi poco più del 5 % del totale) si fa carico da solo di circa il 42% del gettito fiscale e non riceve nulla in cambio. A peggiorare il quadro arriva la nuova Manovra, con tagli ai massimali delle detrazioni a partire dai 75.000 euro”.
Roma, 29 ottobre 2024 – Il totale dei redditi prodotti nel 2022 e dichiarati nel 2023 ai fini IRPEF è ammontato a 970 miliardi, per un gettito IRPEF generato – al netto di TIR (Trattamento integrativo sui redditi da lavoro dipendente e assimilati) e detrazioni – di 189,31 miliardi (di cui 169,59 miliardi, l’89,59%, di IRPEF ordinaria): valore in aumento del 6,3% rispetto allo scorso anno ma inferiore alla crescita del PIL nominale (+7,7%). Crescono sia i dichiaranti (42.026.960, numero addirittura superiore a quello record del 2008) sia i contribuenti/versanti, vale a dire coloro che versano almeno 1 euro di IRPEF, che toccano quota 32.373.363. Mentre salgono sia i contribuenti con redditi compresi tra i 20 e i 29mila euro (9,5 milioni) sia quelli con redditi medio-alti dai 29mila euro in su, diminuiscono i dichiaranti per tutte le fasce di reddito fino a 20mila euro, che calano da 23,133 a 22,356 milioni.
Sicuramente condizionato dalla ripresa COVID-19, quello che emerge dall’ultimo Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate Itinerari Previdenziali sembrerebbe un quadro in apparenza positivo se non fosse che, dati alla mano, resta sostanzialmente invariata la quota di contribuenti che effettivamente sostiene il Paese con tasse e contributi, e di contro troppo alta quella di cittadini totalmente o parzialmente a carico della collettività: malgrado il miglioramento PIL e occupazione, il 45,16% degli italiani non ha redditi e di conseguenza vive a carico di qualcuno. Su 42 milioni di dichiaranti, poi, il 75,57% dell’intera IRPEF è pagato da circa 10 milioni di milioni di contribuenti, mentre i restanti 32 ne pagano solo il 24,43%.
Come garantire innanzitutto la sostenibilità innanzitutto del nostro sistema di protezione sociale ma, più in generale, produttività e sviluppo del Paese se il grosso del carico fiscale grava su una ristretta minoranza? Questa la domanda che ha animato questo pomeriggio presso la nuova Aula dei Gruppo Parlamentari il convegno “Il difficile finanziamento del welfare italiano”, nel corso del quale sono stati presentati a politica e media i risultati dell’indagine annuale realizzata dal Centro Studi e Ricerche presieduto dal Prof. Brambilla. Realizzato in collaborazione con CIDA, anche quest’anno tra i sostenitori della ricerca, l’Osservatorio realizza un’analisi delle dichiarazioni individuali dei redditi IRPEF e delle altre principali imposte dirette e indirette (tra cui IRAP, IRES, ISOST e gettito IVA), con l’obiettivo di ottenere indicatori utili a comprendere l’effettiva situazione socio-economica del Paese e a verificare la tenuta del suo sistema di protezione sociale.
“Le dichiarazioni Irpef rese l’anno scorso fotografano una positiva tendenza dell’occupazione, che è tornata a crescere, e questo non può che farci piacere. Se aumenta il numero di contribuenti relativamente alle fasce medie significa che abbiamo maggiori speranze di garantire sostenibilità al welfare pubblico in futuro. Ecco perché è importante non tradire il ceto medio. Tassarlo oltre a quanto già non si faccia, proprio ora che inizia a rinfoltirsi, potrebbe avere effetti recessivi sull’intera dinamica”, – ha commentato Stefano Cuzzilla, Presidente CIDA. “Il motivo? Perché In Italia vale il principio che maggiore è il contributo fiscale, minori sono i servizi pubblici di ritorno – chiarisce il presidente -. Quindi chi guadagna, ad esempio, dai 55.000 euro in su (oggi poco più del 5 % del totale) si fa carico da solo di circa il 42% del gettito fiscale e non riceve nulla in cambio. A peggiorare il quadro arriva la nuova Manovra, con tagli ai massimali delle detrazioni a partire dai 75.000 euro che, di fatto, rappresentano un aumento di tassazione per chi contribuisce di più. Si trasmette così un messaggio allarmante: che in Italia non conviene eccellere, produrre o innovare. Conviene, invece, evadere e occultare”.
“Non a caso, un quinto dei contribuenti italiani dichiara redditi minimi o nulli. Una fetta consistente che non è degna di una delle più grandi potenze industrializzate. Un Paese che, purtroppo, vive di assistenza e assistenzialismo, mentre affonda nell’economia sommersa. Basti pensare che in 10 anni la spesa per il welfare è aumentata del 30% a causa di una vertiginosa spesa in assistenza, pari a +126%. Di fatto, nel nostro sistema fiscale il peso per chi produce e contribuisce è ormai insostenibile – conclude Cuzzilla -. Mentre l’inflazione ha mangiato il 24% del potere d’acquisto in 15 anni, questa minoranza continua a sostenere sanità, assistenza sociale e servizi per tutti, spesso senza alcun beneficio diretto. Mi chiedo fino a quando sarà disponibile a farlo”.
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