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Un altro anno di libertà vigilata per il fratello di Messina Denaro? La Cassazione boccia la decisione #finsubito prestito immediato


Ha scontato 17 anni di carcere, Salvatore Messina Denaro, 71 anni e fratello maggiore di Matteo, perché era perfettamente inserito nella logica e negli affari della sua famiglia e, dunque, di Cosa nostra, tanto da fare anche il postino tra l’allora latitante (catturato il 16 gennaio dell’anno scorso dopo quasi 30 anni e poi morto il 25 settembre successivo) e l’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino. E’ tornato libero nel 2018 ed è pure stato sottoposto alla libertà vigilata per 3 anni. A luglio dell’anno scorso, però, il magistrato di Sorveglianza di Trapani ha deciso che la misura di sicurezza dovesse essere prolungata per un altro anno. Ma la Cassazione ha bocciato il provvedimento.

Il tribunale di Sorveglianza di Palermo – che in prima battuta aveva confermato la decisione presa a Trapani – dovrà quindi rivalutare l’effettiva “pericolosità sociale” del fratello del boss e stabilire se debba essere o meno sottoposto a un altro anno di libertà vigilata.

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La prima sezione della Suprema Corte, presieduta da Giacomo Rocchi, ha accolto il ricorso dell’avvocato Arianna Rallo sostenendo che “il tribunale di Sorveglianza di Palermo” con il provvedimento dello scorso 28 novembre “non si è attenuto alle coordinate interpretative” delle norme e della giurisprudenza e nella motivazione non ha fornito nessun elemento per spiegare l’attualità della pericolosità sociale di Salvatore Messina Denaro, tenendo conto anche del suo comportamento non solo mentre era detenuto, ma anche dopo, quando è tornato libero ed è già stato sottoposto alla libertà vigilata. La Cassazione, annullando con rinvio la decisione, lascia comunque i giudici liberi di decidere, ma devono colmare i “vizi riscontrati”.

Come spiegano gli Ermellini, il magistrato e il tribunale di Sorveglianza hanno valutato la pericolosità di Messina Denaro soprattutto in relazione alla “assenza di revisione critica in relazione ai gravi fatti di reato commessi” e alla “omessa dissociazione dal contesto criminale di riferimento, tuttora vitale e operativo”. L’avvocato ha però messo in evidenza come nei due giudizi sarebbero stati del tutto “trascurati parametri come gli effetti risocializzanti prodotti dalla lunga detenzione patita sino al comportamento tenuto una volta riacquistata la libertà, sintomatico del venir meno della pericolosità sociale”. Un ricorso che la Cassazione ha ritenuto fondato.

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Nella decisione, i giudici spiegano che “il giudizio di pericolosità sociale può e deve essere ripetuto e aggiornato in funzione di circostanze non oggetto di pregressa valutazione” e che “la prognosi positiva in ordine al futuro comportamento del destinatario della misura di sicurezza debba essere formulata in termini di certezza, condizione necessaria per vincere la forza del giudicato formatosi sulla decisione di segno opposto”. Inoltre, “la proroga, al di là del lasso temporale originariamente stabilito, della misura di sicurezza postula l’accertamento della attuale persistenza delle condizioni che avevano supportato il giudizio di pericolosità sociale e, per converso, l’insussistenza di elementi sopravvenuti tali da convincere del venir meno della propensione criminale del soggetto interessato”. Ecco perché “nel caso di specie, il tribunale di Sorveglianza non si è attenuto alle coordinate interpretative”.

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“Se, da un canto, il tribunale ha correttamente inserito, a base del giudizio prognostico in ordine al futuro contegno di Salvatore Messina Denaro, tanto il suo pregresso inserimento nella compagine mafiosa capeggiata dal fratello Matteo, che gli è valso la condanna a 17 anni di reclusione, quanto la vitalità del gruppo di appartenenza, incompleta si palesa, per contro – dice la Cassazione – la considerazione degli effetti risocializzanti della pena espiata (dagli esiti, cioè, del trattamento penitenziario) e, soprattutto, dell comportamento da lui tenuto nel lasso temporale, superiore al quinquennio, durante il quale egli è stato sottoposto alla libertà vigilata”.

E rimarca: “Al riguardo il tribunale di Sorveglianza ha posto l’accento sulla tendenziale perpetuità della militanza mafiosa e sull’assenza, nel ricorrente, di segni tangibili di ripudio del contesto criminale che vi ha fatto da sfondo, ovvero su elementi di valutazione che, senz’altro rilevanti nella prospettiva considerata, concorrono nondimeno, con quelli, introdotti in appello e riproposti con il ricorso per Cassazione, afferenti alle scelte personali e famigliari compiute in epoca posteriore alla scarcerazione da Salvatore Messina Denaro”.

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La conclusione è che “a prescindere dall’omessa dissociazione dal sodalizio criminale, il giudizio prognostico demandato alla magistratura di Sorveglianza, tendente alla verifica dell’attualità della pericolosità sociale, è giocoforza influenzato anche dalle più recenti contingenze, che il tribunale di Sorveglianza, nel provvedimento impugnato, non risulta avere adeguatamente analizzato”. Occorre dunque rivalutare tutto e riportare gli eventuali elementi che “attestano l’attuale prossimità del ricorrente agli ambienti che hanno costituito fertile humus per le sue pregresse manifestazioni antisociali”.



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