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Roma, 4 novembre 2024 – L’economia resta una delle principali preoccupazioni degli elettori americani. E, alla vigilia delle elezioni Usa del 5 novembre, il duello per la corsa alla Casa Bianca tra la vicepresidente Kamala Harris e l’ex presidente Donald Trump si preannuncia estremamente serrato. Entrambi gli schieramenti sanno che gli elettori hanno sofferto per l‘elevata inflazione negli ultimi anni, sono preoccupati per una potenziale recessione e ora sperano che il mercato del lavoro mantenga la sua solidità. Infatti, i due candidati hanno più punti in comune di quanto si possa pensare: sia Harris che Trump hanno promesso meno tasse, deregulation, di combattere il carovita e incentivare la produzione domestica delle aziende. Gli obiettivi, quindi, sono spesso e volentieri condivisi – cosa che non si può dire per i piani su come raggiungerli.

Harris-Trump: piani economici a confronto

Sommario

Il programma economico di Kamala Harris si inserisce nel solco di Joe Biden, spiega l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), ma cercando di avanzare alcune riforme nell’ottica di un maggior consenso politico: al centro inflazione, famiglia, abitazioni e tasse. Harris cerca di distanziarsi in parte dalla Bidenomics, poiché questa non è risultata particolarmente popolare tra l’elettorato, nonostante i molti risultati positivi conseguiti (soprattutto se li si comparano con quelli ottenuti dagli altri Paesi avanzati nello stesso lasso di tempo).

La candidata dem sta cercando di presentarsi come una ‘agente del cambiamento’ e allo stesso tempo vuole smentire le accuse di Trump secondo le quali sarebbe una “comunista”. Mescolare idee progressiste e moderate, però, comporta il rischio di trasmettere un messaggio confuso e poco coerente.

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Se Kamala Harris ha presentato un programma economico di 82 pagine contenente proposte sulla crisi abitativa, tasse e assicurazione sanitaria, quello di Donald Trump si può ricostruire al massimo a partire dalle sue dichiarazioni (spesso contraddittorie).

Trump, che ha tagliato le tasse per le imprese e i redditi più alti durante la sua presidenza 2017-2021, intende imporre tariffe superiori al 10% su tutte le importazioni statunitensi, il che, insieme a un consistente ricorso al deficit pubblico, gli consentirà (a suo dire) di abbassare le tasse per gli americani. Il repubblicano ha anche promesso di fare degli Stati Uniti la “capitale delle criptovalute del pianeta” e a settembre ha lanciato la sua piattaforma di criptovalute insieme ai figli (che è solo uno dei tanti business che rappresenterebbero un grosso conflitto d’interesse nel caso dovesse essere eletto).

Come si è già detto sopra, ci sono alcuni problemi considerati chiave da entrambi i candidati, ma le loro proposte per risolverli sono profondamente diverse. Prendiamo, ad esempio, la crisi abitativa. Trump intende ridurre la domanda sul mercato immobiliare – e di conseguenza i prezzi – attraverso deportazioni massicce di “milioni di immigrati”. Harris, invece, ha promesso nuovi sgravi fiscali per le famiglie e 25mila dollari in crediti d’imposta ai giovani che desiderano comprare la loro prima casa. Per combattere il carovita, Trump vuole vietare l’importazione di alcuni beni alimentari dall’estero, mentre Harris ha dichiarato guerra al cosiddetto ‘price gouging’: il termine indica la collusione monopolista delle grandi imprese del settore alimentare, che così avrebbero ostacolato il funzionamento delle regole della concorrenza, facendo lievitare i prezzi. Gli economisti consultati dal New York Times sono scettici sull’effettiva utilità di entrambi i provvedimenti. In generale, il programma di Kamala Harris (almeno sulla carta) offre una spinta maggiore alla classe lavoratrice, ma questa fascia di elettori sembra preferire Donald Trump comunque. “Le promesse politiche concrete e specifiche spesso non hanno un impatto così potente come gli appelli emotivi che fanno leva su paure e ansie”, ha detto al New York Times Julian Zelizer, professore di storia politica all’Università di Princeton.

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Secondo un sondaggio NYT/Siena College,  l’economia è la questione principale per il 27% dell’elettorato. Una cifra quasi doppia rispetto alla seconda issue in ordine di importanza (aborto e immigrazione, ciascuna con il 15%). Nonostante Trump sia ancora percepito come più credibile e competente in materia, Harris è riuscita a ridurre un po’ la distanza (da 57% vs 43% ad agosto a 53% vs 47%, secondo un sondaggio Cbs). L’economia, quindi, potrebbe essere un fattore decisivo nella corsa alla Casa Bianca, con potenziali conseguenze in tutto il mondo. Per l’Europa una cosa è certa: chiunque vinca, probabilmente ci aspetteranno tempi complicati. Entrambi i candidati, sempre con le loro marcate differenze nell’approccio, sembrano ostili nei confronti della Cina. Il problema è che così il Vecchio continente si è trovato in mezzo a politiche industriali aggressive. Non solo quella cinese, la più pericolosa, ma anche quella americana. L’amministrazione Biden, però, crede nelle alleanze per affrontare sfide comuni (la Cina, la Russia, il cambiamento climatico) e Harris seguirebbe lo stesso approccio. Per il suo avversario, invece, si tratta di un gioco a somma zero. Inoltre, se la tariffa universale del 10% di Trump dovesse diventare realtà, l’Unione europea aumenterebbe a sua volta i dazi come rappresaglia, facendo scatenare una guerra commerciale globale. Da cui, probabilmente, entrambe le forze economiche avrebbero poco da guadagnare. 

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