La legge l’ha fatta la giunta guidata da Christian Solinas, pochi mesi prima che prima che il governatore sardo-leghista perdesse le elezioni contro Alessandra Todde, lo scorso febbraio. È una legge che di fronte al decreto sul dimensionamento scolastico firmato da ministro Valditara, che in Sardegna tagliava ben trentasei istituti, andava in tutt’altra direzione. Stabiliva infatti che nessuna delle autonomie scolastiche assegnate all’isola venisse cancellata. Ma il governo Meloni ha risposto con un ricorso alla Corte costituzionale, che sette giorni va a dato ragione all’esecutivo nazionale bocciando la legge sarda.
Il decreto legge Valditara applica alla scuola tagli lineari. Si sforbicia per ridurre i costi in bilancio senza tenere contro della specificità delle situazioni, regione per regione, territorio per territorio. In Sardegna la maggior parte delle chiusure riguardano le zone interne dell’isola, dove cancellare istituti scolastici ha effetti molto gravi. Ci sono zone dove se una scuola chiude raggiungerne un’altra significa percorrere ogni giorno, su una rete stradale che definire arcaica è poco, una media di cinquanta-sessanta chilometri.
Le ricadute sono facilmente intuibili. Da una parte, infatti, finito il periodo dell’obbligo, molte famiglie non mandano più a scuola i figli per le difficoltà quotidiane che il pendolarismo comporta; dall’altra in aree geografiche in cui lo spopolamento è diventato un vero e proprio flagello che desertifica decine di piccoli paesi, il fatto che le scuole chiudano insieme ad altri servizi essenziali (dalle poste ai trasporti, dal credito alla sanità) significa la condanna senza scampo a un destino di marginalizzazione e di crescente povertà.
Non è un caso se la Sardegna ha un tasso di dispersione scolastica del 17,3%, molto superiore alla media italiana del 10%, con conseguenze educative serissime, ma anche con ricadute economiche decisamente negative.
L’isola produce competenze e professionalità di livello superiore a un tasso molto modesto: nell’anno accademico 2022-2023 l’università di Cagliari ha accolto 4.063 studenti e quella di Sassari 1.968, segnando una sensibile riduzione complessiva rispetto ai numeri del precedente biennio. E d’altra parte anche il sistema delle scuole professionali è in difficoltà. Negli ultimi dieci anni, gli iscritti a questi istituti sono diminuiti del 18,43%, con un calo del 37,37% nel primo anno.
Per questi motivi l’isola ha tentato di spuntare le forbici di Valditara, e che lo abbia fatto con una legge promossa da una giunta come quella Solinas la dice lunga su quanto il problema nell’isola sia vissuto trasversalmente. Insieme alla sanità e alle infrastrutture, quello scolastico è l’altro settore sul quale la Sardegna sconta un ritardo molto forte rispetto alle altre regioni italiane. Chiudere scuole è come chiudere ospedali e ambulatori. Se hai posti letto a ottanta chilometri di distanza, finisce che non ti curi; se hai una scuola lontana, finisce che rinunci a studiare.
Il tentativo di bloccare il ministro Valditara e i suoi tagli è fallito perché la Consulta ha deciso che la legge sarda che faceva salve tutte le autonomie scolastiche viola il principio costituzionale, stabilito dall’articolo 117 della Carta, secondo il quale in materia d’istruzione lo Stato ha competenza esclusiva.
Un’impostazione centralistica alla quale l’assessora alla Pubblica istruzione della giunta Todde, Ilaria Portas, oppone la specificità della situazione sarda e la necessità di stabilire norme regionali che ne tengano conto: «La sentenza della Corte costituzionale – dice Portas – è un’ulteriore prova di quanto sia necessario lavorare sul tema della scuola non solo dal punto di vista contabile ma anche e soprattutto dal punto di vista delle specificità reali dell’isola, facendo leva su tutti gli elementi che ci aiutino a valorizzare le nostre prerogative».
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