Il Consiglio di Stato ha recentemente emesso una sentenza di grande rilevanza, rigettando l’appello presentato da una società di ristorazione operante a Polignano a Mare. La controversia riguardava un regolamento comunale che disciplina l’occupazione temporanea di suolo pubblico, con particolare riferimento alle aree storiche e paesaggistiche del territorio.
Secondo la società, questo regolamento avrebbe violato i propri diritti acquisiti, limitando l’utilizzo delle concessioni demaniali esistenti su cui si basava per la sua attività.
Il Consiglio di Stato ha confermato la legittimità del regolamento comunale, sottolineando come esso rientri pienamente nell’autonomia pianificatoria del Comune, volta a tutelare il decoro e l’assetto paesaggistico urbano.
Ma cosa significa, in concreto, questa decisione? Quali sono le implicazioni per altre attività che operano in contesti simili?
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Il contesto della controversia
La disputa tra la società ricorrente e il Comune di Polignano a Mare ha origine dal nuovo “Regolamento per l’occupazione temporanea di suolo pubblico“. Questo regolamento, adottato per garantire una gestione più ordinata e uniforme degli spazi pubblici, è stato concepito per rispondere alla crescente domanda di strutture all’aperto, ma anche per rispettare i requisiti di tutela paesaggistica e storica delle aree urbane di pregio.
La società ricorrente gestisce due attività di ristorazione situate in un’area demaniale marittima, caratterizzata da un contesto storico e naturale di rilevante valore, dove il Comune ha stabilito regole più rigide per l’installazione di dehors e strutture temporanee.
Nel regolamento comunale, il territorio è stato suddiviso in zone: alle aree a elevato valore storico, ambientale e architettonico (classificate come “zona gialla”) si applicano vincoli particolari, mentre in altre aree, con minor valore paesaggistico, le procedure autorizzative sono più snelle.
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Secondo il regolamento, le strutture situate in aree demaniali devono sottostare a una procedura ordinaria di autorizzazione paesaggistica. Questo comporta che ogni dehors in tali zone debba rispettare criteri estetici e strutturali più restrittivi, nonché ottenere le necessarie autorizzazioni paesaggistiche da parte degli enti di tutela, inclusa la Soprintendenza.
In questo contesto, la società ricorrente ha avanzato un ricorso sostenendo che il regolamento comunale violasse i diritti acquisiti attraverso le concessioni in suo possesso e che imponesse nuove restrizioni che rendevano difficoltoso, se non impossibile, l’uso degli spazi all’aperto per la somministrazione di alimenti e bevande.
La società ha quindi contestato che il regolamento, in pratica, introducesse modifiche non solo alle modalità di utilizzo del suolo pubblico, ma anche alla stessa validità delle concessioni demaniali esistenti, creando una sorta di “revoca implicita” delle autorizzazioni già concesse. Secondo la ricorrente, ciò avrebbe minato il proprio diritto di affidamento e compromesso la possibilità di operare in continuità con le strutture già autorizzate, generando un grave danno economico.
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I motivi del ricorso e le contestazioni sollevate
Nel ricorso, la società ricorrente ha sollevato diversi punti critici nei confronti del regolamento comunale, contestandone la legittimità sotto vari profili giuridici. Uno dei primi motivi di ricorso è stato la presunta violazione del diritto al contraddittorio. La società ha lamentato che la decisione del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) si basava su atti e documenti che erano stati depositati poco prima dell’udienza pubblica, impedendole di rispondere adeguatamente.
Un’altra questione sollevata riguarda l’obbligo di collaborazione e trasparenza tra enti. La società ha affermato che il Comune e la Soprintendenza non avevano rispettato il principio di correttezza e buona fede, omettendo di coinvolgere adeguatamente gli interessati nel processo decisionale.
Nello specifico, la Soprintendenza, con una nota precedente, aveva espresso il parere che le aree demaniali fossero escluse dal regime autorizzativo semplificato, raccomandando invece l’iter ordinario per le autorizzazioni paesaggistiche.
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La ricorrente ha sostenuto che tali prescrizioni non fossero state rispettate e che la loro interpretazione non fosse stata chiarita ufficialmente, creando incertezza sulla portata del regolamento.
Un punto cruciale del ricorso è stato il presunto “eccesso di potere” del Comune, che, a detta della società, avrebbe imposto modifiche alle concessioni esistenti senza le necessarie basi giuridiche. La ricorrente ha dichiarato che il regolamento imponeva un riassetto delle strutture, obbligandola a rimuovere o modificare i dehors già autorizzati, violando il principio di legittimo affidamento, poiché le concessioni in suo possesso erano ancora valide ed efficaci.
In sintesi, la società sosteneva che le nuove regole non potessero essere applicate retroattivamente alle strutture già esistenti, ma solo a quelle di nuova installazione.
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La decisione del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n° 8474 del 2024, ha rigettato il ricorso della società, ritenendo infondate le contestazioni sollevate. In primo luogo, ha stabilito che il regolamento comunale fosse conforme alle prescrizioni paesaggistiche stabilite dalla Soprintendenza, confermando che la suddivisione delle zone e le relative tipologie di dehors consentiti rispondevano adeguatamente alla tutela del decoro urbano e paesaggistico.
La corte ha chiarito che il regolamento non intendeva annullare le concessioni demaniali esistenti, ma ne richiedeva esclusivamente un adeguamento entro una scadenza prestabilita, ovvero il 31 dicembre 2023.
Inoltre, il Consiglio di Stato ha sottolineato che il regolamento, in quanto atto di pianificazione urbanistica a carattere generale, non comporta effetti individuali diretti e, pertanto, non può essere considerato come una revoca implicita delle concessioni esistenti. Al contrario, l’adeguamento richiesto rientra nel potere regolamentare del Comune, che ha il diritto di stabilire norme generali per il miglioramento della sicurezza e della vivibilità cittadina.
La corte ha evidenziato come l’intervento normativo sia volto a uniformare e armonizzare le strutture presenti sul territorio comunale, con l’obiettivo di tutelare gli spazi di valore storico e culturale e garantire il rispetto delle linee estetiche volute dall’ente territoriale.
La decisione ribadisce, infine, che il regolamento, lungi dall’imporre la rimozione delle strutture, richiede soltanto un adeguamento alle nuove direttive estetiche e funzionali dettate dal Comune. In questo modo, viene salvaguardato l’equilibrio tra la libertà imprenditoriale e la tutela dei valori collettivi, permettendo alle attività economiche di operare in un contesto che valorizza il patrimonio urbano e paesaggistico.
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