La nostra inchiesta: gli incentivi stanziati dallo Stato per una vettura a ridotte emissioni sono finiti ai concessionari che dovrebbero girarli agli acquirenti. Ma troppo spesso l’Ecobonus è riservato solo a chi fa finanziamenti, pagando interessi salati
Mobilità sostenibile, quante volte abbiamo sentito queste due paroline magiche? Si direbbe il leitmotiv di questi ultimi anni. Che i trasporti, comprese le automobili private, inquinino è certo; che lo smog danneggi la nostra salute e l’ambiente che ci circonda è indiscutibile; che vadano messe in campo delle azioni per contrastare gli effetti negativi delle emissioni di CO2 nell’aria è inevitabile. Tra queste la più onerosa per le casse dello Stato di quest’anno è l’ecobonus, un contributo per incentivare l’acquisto di un’automobile privata (e non solo) meno inquinante. Un contributo che nel 2024 è risultato particolarmente importante e proporzionale alla classe di omologazione del veicolo nuovo: rottamandone uno vecchio si può arrivare a ottenere oltre 13mila euro per un’auto elettrica, ma anche 2mila euro per un’auto usata Euro 6 rottamandone una di classe inferiore (ad esempio una Euro 4 a benzina). Solo per l’anno in corso sono stati messi a disposizione per questi incentivi 340 milioni di euro (compresi i residui degli anni precedenti).
L’acquisto con il bonus si può effettuare fino al 31 dicembre 2024. Ma siamo certi che questi fondi siano arrivati e arrivino veramente nelle tasche degli italiani, attraverso una forma di sconto che li incentivi a comprare? O il meccanismo studiato può avere una falla che causa un effetto boomerang per chi acquista una nuova auto?
L’ecobonus automotive – si legge sulle informazioni pubblicate sul sito web del ministero delle Imprese e del made in Italy – è la misura promossa del ministero per spingere a comprare veicoli a ridotte emissioni: “L’incentivo riguarda l’acquisto di veicoli non inquinanti di categoria M1 (autoveicoli); L1e – L7e (motocicli e ciclomotori); N1 e N2 (veicoli commerciali). Il contributo viene riconosciuto come minor prezzo praticato dal concessionario in fattura al momento dell’acquisto ed è rivolto alle persone fisiche o giuridiche che intendono acquistare veicoli non inquinanti. Il contributo sarà prenotato dal concessionario”. Ed è qui che sta il passaggio oscuro: perché non dare tale contributo direttamente a chi compra la nuova vettura?
Basterebbe fare una domanda allegando la fattura e si potrebbe ottenere il rimborso, ad esempio. Oppure ricevere un voucher da portare al concessionario automobilistico. Invece, ecco come funziona: il rivenditore di auto “prenota” l’incentivo sulla piattaforma Ecobonus, gestita da Invitalia. Anche quelli per l’acquisto di veicoli di categoria M1 usati e veicoli commerciali N1 e N2 ad alimentazione non elettrica. Quando si apre il periodo destinato alla vendita con gli incentivi, le concessionarie possono pubblicizzare le auto che vogliono vendere con l’incentivo che hanno prenotato e pensano loro così a fare avere lo sconto in fattura al momento dell’acquisto, se l’acquirente ha i requisiti.
L’iter dell’Ecobonus
Il concessionario rivenditore si registra in piattaforma e prenota un contributo per ogni veicolo che intende vendere. Al momento della vendita dovrà riconoscere all’acquirente lo sconto e poi farsi rimborsare il contributo erogato direttamente dal costruttore o dall’importatore dell’auto venduta inviando tutta la documentazione necessaria a comprovare l’operazione effettuata e il diritto dell’acquirente. Il contributo viene rimborsato al costruttore/importatore sotto forma di credito d’imposta. Se invece lo sconto è applicato a un’auto usata, è il concessionario a recuperare direttamente il contributo sotto forma di credito di imposta.
Il flop dei crediti di imposta
Ma a tutti i concessionari e i costruttori interessa poi così tanto il credito d’imposta? Se prendiamo ad esempio quanto avvenuto con gli ecobonus sulle costruzioni e sull’energia sembrerebbe proprio di no. Se il beneficio è appetibile per cifre piccole, iniziali, quando si parla di grossi crediti di imposta un imprenditore ci pensa due volte: quanto tempo occorrerà infatti per poterli richiedere?
Lo sconto deve essere applicato immediatamente all’acquirente ma il credito di imposta potrebbe essere fatto valere solo dopo anni. La remissione quindi c’è. Mentre se il credito di imposta fosse fatto valere direttamente sull’acquisto dell’auto (ad esempio sull’Iva che deve pagare l’acquirente) a beneficio di quest’ultimo, magari la procedura sarebbe più favorevole per tutti. Questo perché l’utente finale, chi acquista l’auto, riceverebbe lo sconto sull’auto dell’Iva subito e – se non bastasse – un’altra parte in sede di dichiarazione dei redditi. Invece ora come ora le concessionarie hanno trovato il modo di non rimetterci, anzi di guadagnarci. E all’acquirente non arriva proprio niente, anzi è costretto a pagare di più del prezzo di acquisto. Vediamo come.
Fatta la legge, trovato l’inganno
Un antico motto popolare che si rivela sempre valido. La normativa stabilisce tutta la procedura ma non chiede espressamente in che modo il concessionario possa vendere l’auto e in che modo il cliente possa acquistarla. E qui entra in gioco la scelta di pagare in contanti o a rate. Le rate, si sa, rappresentano un servizio nato per aiutare chi non ha una cifra ragguardevole (e le automobili costano cifre ragguardevoli) da dare in una unica soluzione. Un servizio che però ha un costo… gli interessi. E così ogni concessionario italiano offre la possibilità di acquistare un’automobile pagandola a rate, tramite una finanziaria collegata. Spesso le finanziarie sono una ramificazione della stessa holding o viceversa, a volte sono frutto di accordi vantaggiosi per entrambe le imprese. Fatto sta che chiunque intenda acquistare una nuova auto è fortemente indirizzato verso l’acquisto a rate, anche se è in possesso dell’intera cifra e ha la volontà di effettuare l’acquisto in contanti per non pagare interessi e non indebitarsi. Anche questo dovrebbe essere un’opzione garantita ma gli addetti alle vendite spingono sempre in direzione opposta, facendo calcoli che “dimostrano” come l’acquisto a rate sia più conveniente in quanto dà opportunità di usufruire di sconti che l’acquisto in contanti non permette di avere. E se questo avviene per un acquisto senza incentivi figuriamoci cosa succede con gli incentivi: semplicemente, non vengono fatti gli sconti previsti dallo Stato per l’Ecobonus a chi acquista l’auto in un’unica soluzione ma solo a chi l’acquista a rate.
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E lo “sconto” viene risucchiato dagli interessi
Tutte le concessionarie automobilistiche pubblicizzano sui propri siti web la possibilità di fruire degli incentivi statali. Raramente specificano se i fondi ci sono effettivamente ancora, dal momento che dovendo essere stati prenotati in anticipo, è possibile che quella specifica concessionaria abbia esaurito le risorse a disposizione. Il potenziale acquirente per saperlo deve telefonare o recarsi nella sede, dove il rivenditore potrebbe invogliarlo a effettuare un acquisto diverso, magari usufruendo di un altro sconto della casa. Ma quando l’incentivo c’è, la sorpresa secondo le testimonianze raccolte dal Salvagente è un’altra: poterne usufruire solo se acquista l’auto a rate, firmando un contratto con una finanziaria. Altrimenti niente da fare. L’incentivo alletta gli acquirenti ma essendo obbligati dai concessionari al pagamento a rate, di fatto viene così “risucchiato” dagli interessi dovuti alle finanziarie. Se è dunque vero che si vuole attuare una misura a beneficio soprattutto delle famiglie meno abbienti, che spesso sono già indebitate, ci si ritrova di fatto a incentivare un indebitamento ulteriore, con un’esposizione che potrebbe rappresentare un danno per una famiglia più che un vantaggio, a differenza dei più abbienti.
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