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Fundraising culturale: il già e il non ancora #finsubito prestito immediato


Checché se ne dica, il fundraising culturale in Italia è in costante crescita sia sul versante di chi dona o sostiene, sia su quello delle organizzazioni che chiedono sostegno. Il tempo in cui si diceva che in Italia è inutile chiedere donazioni per la cultura perché le persone e le aziende sono poco propense a farlo, si spera sia finito, anche se nella rappresentazione comune ancora resta l’idea che il “mecenatismo” sia questione per pochi ricchi facoltosi o per le aziende che hanno un brand importante.

In verità le cose stanno diversamente. In Italia manca una seria e attendibile ricerca sul fundraising culturale, ma per quel che vediamo il numero di individui donatori per la cultura cresce e le modalità di sostegno vanno ben oltre la classica erogazione liberale. Molti aderiscono a forme di membership o diventando soci di associazioni culturali, o mediante donazioni che non vengono tracciate nella denuncia dei redditi (piccole donazioni dirette a musei, teatri, spesso tramite crowdfunding). Ecco alcuni dati significativi.

Il quantum delle donazioni alla cultura

Il settore cultura, ricreazione e socializzazione è il più grande dopo lo sport  (110mila realtà circa, secondo l’indagine Istat 2021) e le istituzioni culturali pubbliche in Italia (tra musei, teatri, biblioteche, ecc…) sono circa 40mila. Il censimento Istat sul non profit, che per la prima volta ha distinto il settore della cultura da quello dello sport, ci dice che le entrate da quote di associati e donazioni di individui e aziende per queste organizzazioni ammonta a poco meno di 4,5 miliardi annui e che le entrate da sponsorizzazioni e altre attività con le aziende ha un volume di più di 800 milioni annui. Purtroppo per le istituzioni culturali di natura pubblica non possediamo dati.

Tuttavia le aziende che affermano di sostenere istituzioni e attività culturali dichiarano che lo fanno con un investimento che, a seconda delle diverse ricerche, si attesta tra gli 1,5 e i 2,5 miliardi di euro l’anno. Peraltro l’indagine predittiva sulle sponsorizzazioni svolta annualmente da Stage Up ci dice che dopo il Covid le sponsorizzazioni sono in ripresa, trainate anche e soprattutto dal settore sociale (+17% nel 2024 sull’anno precedentemente) e dal settore culturale (+ 9%). Occorre sempre guardare a questi due settori insieme perché, soprattutto per quello che riguarda le organizzazioni culturali non profit, i progetti culturali molto spesso sono integrati con quelli sociali, puntando principalmente ad impatti sul miglioramento della condizione personale e in generale della comunità (integrazione e coesione sociale, rigenerazione dei territori urbani e rurali, ecc.). 

Massimo Coen Cagli - Direttore scientifico Scuola di Fundraising di Roma
Massimo Coen Cagli – Direttore scientifico Scuola di Fundraising di Roma

Dieci anni di Art Bonus

Gli unici dati certi riguardano l’uso dello strumento Art Bonus, interamente tracciato. A dieci anni dalla sua adozione, proiettando i trend 2022-23 sull’ottobre 2024, possiamo affermare che con l’Art Bonus sono stati raccolti circa 900 milioni di euro da 40mila mecenati, di cui 26mila persone fisiche, 4mila fondazioni e altri enti non commerciali, 10mila imprese (moltissime delle quali sono anche di piccola e media dimensione).

Nel loro insieme questi mecenati hanno sostenuto 6.100 progetti di 2.500 enti, principalmente ma non esclusivamente di natura pubblica. Tutti questi numeri sono in crescita rispetto agli anni precedenti. Il dato di 26mila donatori individuali (molti dei quali hanno donato anche cifre nell’ordine di 50-100 euro) è molto significativo, posto che l’Art Bonus viene ancora immaginato come uno strumento per “mecenati”, che è un idealtipo nel quale la gran parte dei cittadini comuni non si riconosce. 

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La propensione al dono

Accanto a questi pochi dati disponibili vi è da segnalare invece una indagine qualitativa svolta da Cultural Philantropy verso il pubblico delle istituzioni culturali, che ci dice che in Italia le persone orientate a sostenere la cultura sono il 40% della popolazione adulta e che lo farebbe con una donazione media annua di circa 80 euro. Questo è un dato di gran lunga superiore a quello relativo alla Gran Bretagna (paese in cui chiedere e donare soldi è molto più diffuso e socialmente apprezzato), dove solo il 24% della popolazione è orientato a farlo per una cifra annua di circa 40 euro.

Anche le indagini svolte da Dynamo Academy (Business for common good, 2023) e da Banca Ifis (Economia della bellezza, 2024) mostrano una crescente attenzione delle aziende verso il sostegno a arte e cultura inquadrando questo impegno in quello più generale dell’adeguamento ai cosiddetti ESG Pillars. Per Dynamo il 62% del corporate giving è orientato su arte, cultura, sport e ricreazione; mentre la ricerca di Banca Ifis dimostra che per le aziende l’investimento in cultura ha superato gli schemi del vecchio mecenatismo (per quanto illuminato) conferendo invece alla cultura il ruolo di investimento strategico con una relazione strettissima tra questo è l’aumento di fatturato e il miglioramento  della performance generale delle imprese. 

Il gap fra interesse e strumenti

Ma al di là di questi dati (che, lo ribadisco, vanno presi con le pinze in quanto hanno un valore statistico relativo e usano concetti operativi anche molto diversi tra loro) noi fundraiser che operiamo in questo settore possiamo affermare che l’attivismo sia delle organizzazioni culturali che dei donatori è molto vivace, generando anche forme innovative di sostegno che vanno ben oltre il mecenatismo e la sponsorizzazione e guardando alla costruzione di partnership che producano valore aggiunto condiviso da restituire agli stakeholder e alla comunità.

Va tutto bene quindi? Purtroppo no, perché vi è ancora un enorme gap tra questa crescita di interesse per il sostegno della cultura da parte dei privati e gli strumenti che vengono messi a disposizione delle istituzioni e organizzazioni culturali per fare di più e meglio fundraising.

Sono ancora molti gli ostacoli burocratici, amministrativi e fiscali che si frappongono ad una libera attività di fundraising, così come è ancora scarsissimo l’investimento in formazione al fundraising (sia nel pubblico che nel non profit) e, per quanto riguarda le istituzioni pubbliche, l’assunzione o almeno il ricorso a professionalità specifiche per coprire le funzioni di fundraising, che, per altro, al livello di istituzioni centrali e locali, sono ritenute indispensabile. Il che è un vero paradosso. 

Quali prospettive di crescita

Per questo la Scuola di Fundraising di Roma, insieme al partner Patrimonio Cultura, ha deciso di dedicare la V edizione dell’evento Più Fundraising Più Cultura (www.fundraisingperlacultura) alle prospettive di crescita del fundraising culturale: prospettive che da un lato sono già una realtà, ma che dall’altro lato sono ancora largamente inespresse e andrebbero invece valorizzate e sostenute. Verranno quindi presentati casi di buon fundraising cultuale e approfondimenti di temi che mettono in evidenza come al centro del fundraising culturale si stiano esprimendo valori nuovi (come il tema del cultural welfare), nuovi soggetti e progetti e anche nuovi sostenitori. Inoltre, verrà fatto un focus su quegli aspetti che andrebbero aiutati a crescere: il primo è proprio quello della ricerca sul fundraising, senza la quale è difficile sia disegnare le politiche più adatte per farlo crescere sia l’azione quotidiana delle organizzazioni (lo faremo con Paolo Anselmi di Walden Lab e Sabrina Stoppiello di Istat); il secondo è quello del fundraising internazionale al quale le nostre organizzazioni culturali non accedono e che invece riserva grandi opportunità per il settore culturale (lo faremo insieme a Myriad.org, la più grande rete che si occupa di transnational giving). 

Il ruolo delle istituzioni

La vera novità di questa V edizione è che di tutto questo potremmo parlare anche con alcuni referenti importanti dell’amministrazione della cultura, come Alfonsina Russo, neo direttore del Dipartimento per la Valorizzazione del MIC e Carolina Botti, direttore di Ales e referente del MIC per l’Art Bonus. Insieme a loro cercheremo di individuare, con senso del realismo, quali azioni concrete si possano mettere in atto per far crescere in qualità e quantità il fundraising per la cultura. E chissà, dal dialogo con loro magari arriverà anche qualche novità concreta su quei temi cruciali quali sono l’investimento nella ricerca sul fundraising culturale o la possibilità di agire come “sistema Italia” nella partita della raccolta fondi internazionale.

Massimo Coen Cagli è direttore scientifico della Scuola di Fundraising di Roma e ideatore di Più Fundraising Più Cultura, il principale evento italiano dedicato al sostegno della cultura da parte dei privati. L’evento Più Fundraising Più Cultura (www.fundraisingperlacultura) si terrà a Roma il 14 novembre, presso il WeGil di Trastevere, nell’ambito di RO.ME Rome Museum Exhibition. Qui il programma. L’evento rappresenta un’occasione da non perdere per condividere con tutti gli stakeholder pubblici, privati e non profit del mondo della cultura azioni e programmi comuni per far crescere il fundraising culturale. In copertina, un workshop con Eva Frapiccini realizzato dal dal Teatro tascabile di Bergamo: foto di Mario Albergati.

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