Sassari La valigia di cartone del terzo millennio è un borsone da calcio, con dentro fame di successo e non solo, un paio di scarpini che possano andare bene per qualsiasi tipo di terreno e un’idea chiara: qualunque sia l’obiettivo, per raggiungerlo bisogna essere pronti a stringere i denti e la cinghia. La terra promessa è un’isola lontana diecimila chilometri da casa, il teatro dei sogni è un campo lontano ma non troppo dai riflettori del grande calcio, la vetrina è una maglia da titolare in una squadra semisconosciuta, tifosi pochi, ambizioni il giusto. Quanto basta per fare un investimento su se stesso: un anno di impegno e sacrifici nella speranza di riuscire poi a fare un salto di qualità. L’invasione di giocatori stranieri – soprattutto sudamericani, ma anche africani e dell’est Europa – nei campionati dilettantistici della Sardegna, ben al di là delle questioni meramente sportive, rappresenta un fenomeno sociale tutto da studiare, perché tra le altre cose racconta molto anche dell’approccio all’attività sportiva dei giovani sardi.
«E di ragazzi sardi si fa davvero fatica a trovarne. Perché al di sotto di una certa categoria i soldi scarseggiano e allora è più complicato spiegare a un giovane che in cambio di un piccolo rimborso deve fare sacrifici, rinunciare a qualche serata di bagordi, allenarsi duramente. Un tempo tutto questo era normale, dalle serie maggiori alla Terza categoria. Ora non è più così e rivolgersi al mercato degli stranieri è diventato una necessità». A spiegare questo strano fenomeno è Marco Maniglio, pugliese di nascita ma da una vita in Sardegna, dove ha segnato oltre 250 gol nei campionati dilettantistici, prima di diventare osservatore e, oggi, direttore generale del Li Punti, in Eccellenza
. «In prima battuta vado sempre a caccia di giocatori locali da valorizzare – dice l’ex bomber del Ghilarza –, ma mi rendo conto che trovarne è sempre più complicato. Quest’anno ho trovato quattro ragazzi che arrivano dalla Prima e che ora da noi giocano titolari. Ma quello che possiamo offrire ai giovani sono rimborsi da 4-500 euro. In quanti sono disposti ad accettare?».
Domanda retorica, risposta scontata: pochi. Allora è necessario guardare al di fuori del proprio bacino. In Italia ormai da diversi anni esistono agenti o intermediari che sono in grado di proporre al direttore di turno il profilo che gli serve per costrurire la rosa: ecco allora la punta argentina, l’esterno ivoriano, il mediano romeno.
«Dal Sudamerica arrivano tantissimi bravi giocatori – dice Maniglio –, che fanno letteralmente un investimento su loro stessi: firmano per un anno in cambio di un tetto e di un rimborso che può essere di 7-800 euro, raramente di più, mentre gli italiani sparano altissimo. Come fanno a campare questi stranieri? Mettono in conto un anno di ristrettezza, ma in realtà spesso vivono molto meglio rispetto al loro posto di provenienza. Escono poco, tirano la cinghia, si concentrano sul calcio e si comportano da professionisti: la loro speranza è quella di venire notati, puntano per l’anno successivo a guadagnare di più».
Questo fenomeno riguarda essenzialmente i giovani sino a 25-26 anni. Poi ci sono anche gli over 30 che dopo un’onesta carriera a livelli più alti, vengono dall’estero per cercare di monetizzare al massimo gli ultimi anni di carriera e – chissà – magari anche di trovare un posto di lavoro. E i sardi? «In D ed Eccellenza servono giocatori bravi, e qualche straniero non fa male a nessuno. Ma già in Prima categoria trovo incredibile che ci siano squadre quasi interamente formate da stranieri. Se nelle categorie più basse non si valorizzano i sardi – conclude Maniglio –, poi diventa ancora più difficile trovarne anche per le categorie più alte ».
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