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Pubblichiamo l’articolo di Silvia Tarricone, tratto da Famiglia e diritto (n. 1/2017), Ipsoa. Per maggiori informazioni >>

L’art. 3, comma 2, L. 12 dicembre 2012, n. 219, nella parte in cui regola l’istituto del versamento diretto, quale strumento posto a garanzia del diritto al mantenimento della prole, viene interpretato dal tribunale di Mantova nell’ottica dell’art. 8 legge sul divorzio, a cui la citata norma fa espresso rinvio. L’ordine al terzo, debitore del genitore inadempiente, di versare quanto da lui dovuto nelle mani dell’altro genitore per il mantenimento del figlio minore è, per il giudice mantovano, un ordine stragiudiziale, che viene formulato dal creditore della prestazione di mantenimento. Viene così data un’interpretazione correttiva a quanto di-spone l’art. 3, L. n. 219, là dove attribuisce natura giudiziale all’ordine al terzo, che viene avvalorata in ra-gione dei principii di economia e semplificazione processuale, nonché di effettività della tutela dei diritti. 

Figli non matrimoniali: diritto al mantenimento
e natura dell’ordine di pagamento al terzo,
debitore del genitore inadempiente

Il caso di specie

Con questo provvedimento, il Tribunale di Mantova decide il ricorso della madre non coniugata d’un minore, con il quale si chiedeva – a norma dell’art. 3, comma 2, L. n. 219 del 2012 – di ordinare giudizialmente, al debitore del padre inadempiente, il versamento diretto del suo contributo periodico al mantenimento al quale, questi, era tenuto in forza d’un precedente decreto.

Il Collegio respinge la domanda, sul presupposto che la citata norma, prevista dalla legge sul riconoscimento dei figli nati al di fuori del matrimonio, debba essere fatta oggetto d’una interpretazione correttiva, che viene consentita dal richiamo che la stessa dispone all’art. 8, L. n. 878 del 1970; secondo il giudicante, in sostanza, occorre far prevalere il meccanismo applicativo stabilito nella legge sul divorzio, di modo che l’ordine rivolto al terzo, debitore del genitore obbligato, di versare direttamente quanto dovuto all’avente diritto, provenga da quest’ultimo e non dal giudice come, invece, prevede sempre la lettera del citato art. 3[1], ma in un altro passo della disposizione, in analogia a quanto stabilito in materia di separazione personale dei coniugi.

È appena il caso d’avvertire che la madre, con la domanda proposta, non fa valere, nella specie, il diritto del figlio minore d’essere mantenuto dai propri genitori, bensì un diritto di cui lei stessa è titolare e che ha titolo nell’obbligo gravante sull’altro genitore di contribuire al mantenimento del figlio, per soddisfare i fondamentali diritti del minore, a cui fanno riferimento gli artt. 315 ss. c.c. Diritti che trovano, in quanto dispone l’art. 337 ter, comma 4, i criteri per la loro determinazione quantitativa e che vengono visti non soltanto nelle situazioni di crisi familiare, che culminano nella separazione o nel divorzio, ma anche quando si tratta di controversie sorte nell’àmbito di procedimenti riguardanti figli nati fuori del matrimonio: in altre parole, si tratta qui di azionare non già il diritto del minore, bensì il diritto del genitore adempiente di ottenere la contribuzione dal genitore che si sottrae al proprio dovere di concorrere, nella misura stabilita, al mantenimento del proprio figlio[2].

Un’interpretazione “correttiva” dell’art. 3, comma 2, L. n. 219/2012

Come è ormai noto, con la riforma del 2012, il legislatore ha sancito l’unità dello stato giuridico della filiazione[3] e, delineando lo statuto dei diritti (e dei doveri) del figlio, ha stabilito precise regole per la loro salvaguardia, anche con la previsione di idonei strumenti volti a rafforzare le garanzie che assicurano il mantenimento della prole[4]. In particolare, con il citato art. 3, comma 2, sono state estese a tutela della filiazione nata fuori del matrimonio alcune regole, già da tempo previste per la filiazione legittima, quando la crisi dei rapporti coniugali dia luogo alla separazione o al divorzio: mi riferisco all’ordine di pagamento rivolto al terzo di cui un genitore si può servire, quando l’altro non adempia all’obbligo di contribuire al mantenimento del figlio[5]: un ordine che si rivolge al terzo, debitore del genitore inadempiente, già previsto dalla disciplina della separazione e del divorzio, rispettivamente, negli artt. 156 c.c. e 8 legge div., con regole che differiscono però, fra di loro, su un punto essenziale.

Infatti, mentre gli artt. 156 c.c. e 3, comma 2, L. n. 219, prevedono che l’ordine di pagamento nei confronti del terzo sia oggetto di un apposito ordine giudiziale[6], la legge sul divorzio, nell’art. 8, comma 3, stabilisce che l’ordine sia rivolto nei confronti al terzo direttamente dalla parte, ossia dal coniuge cui spetta, come dice la norma citata, “la corresponsione periodica dell’assegno”. Una disciplina, quindi, fortemente differenziata ma che, per quanto riguarda l’ipotesi dettata dalla legge sulla filiazione un tempo detta naturale, esibisce una disciplina che mentre, da un lato, prevede che l’ordine al terzo provenga dal giudice, dall’altro lato dispone che sia applicabile “quanto previsto dall’art. 8, comma 2 e seguenti della legge 1° dicembre 1970, n. 898”, secondo cui, l’ordine nei confronti del terzo, per dare attuazione ai provvedimenti sul mantenimento che siano stati pronunciati a favore del figlio provenga non dal giudice, ma direttamente dall’altro genitore.

Al Collegio pare evidente come la disciplina di cui all’art. 3, comma 2, nella parte che interessa ai fini della decisione, sia frutto della (imperfetta) giustapposizione delle norme dettate per la separazione e per il divorzio. Infatti, il legislatore del 2012, nel dare al giudice il potere di pronunciare l’ordine in parola, si è chiaramente ispirato al rimedio esperibile dal coniuge separato, mentre chiude la citata disposizione di cui all’art. 3, comma 2, con un esplicito rinvio alle regole previste in caso di divorzio, regole che, invece, escludono l’intervento del giudice nella formazione dell’ordine da impartire al terzo, accordando al coniuge “con un minimo dispendio di risorse e tempo”, uno strumento efficace di tutela.

L’infelice formulazione della nuova norma, come osserva il tribunale, rende incerte le modalità con le quali l’avente diritto possa rivolgere al terzo l’ordine di pagamento, con riflessi negativi sulla tutela accordata ai figli non matrimoniali che sarebbe deteriore, rispetto a quella data ai figli di genitori divorziati. Invero, soltanto interpretando la nuova norma alla luce di quanto dispone la legge sul divorzio, a cui essa fa espresso riferimento, si può evitare una disparità di trattamento tra figli matrimoniali e figli non matrimoniali, una disparità in aperta contraddizione con la ratio ispiratrice della novella sulla filiazione, con la quale sono state eliminate quelle differenze che trovavano giustificazione nella natura del vincolo o del rapporto che intercorre tra i genitori.

La necessità d’aderire ai precetti che hanno informato la recente riforma del diritto di famiglia e di far proprie le istanze di semplificazione che hanno contraddistinto i più recenti interventi in materia processuale, ha suggerito, quindi, al giudicante una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 3, comma 2, L. n. 219 nella parte in cui regola lo strumento del pagamento diretto. Questo, affinché sia realizzato e preservato il dogma della ragionevole durata del processo ed, al contempo, venga attribuito all’avente diritto il potere di soddisfare il proprio credito, rivolgendosi al debitor debitoris in via stragiudiziale, affinché sia reso effettivo il diritto al mantenimento, leso dall’inadempimento dell’obbligato.

L’ordine stragiudiziale di pagamento diretto e il suo ambito di applicazione

Con la sua pronuncia, il Tribunale di Mantova non prende nemmeno in considerazione alcune questioni interpretative poste dall’entrata in vigore della citata nuova norma e che riguardano, in modo particolare, l’ambito di applicazione, specie soggettivo, della nuova norma e la questione dei rapporti intercorrenti tra le diverse norme che regolano gli ordini nei confronti dei terzi, per l’attuazione degli obblighi familiari.

Come si è già posto in evidenza, il Collegio si è mosso dal presupposto che quanto dispone il citato art. 3, comma 2, riguarda “la predisposizione di un sistema di garanzie a tutela del credito per il mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio”: un’affermazione, questa, dal suo punto di vista certo sufficiente, dato che, nella specie, si trattava appunto di far fronte alle conseguenze negative derivanti dalla violazione di obblighi e doveri cui era tenuto un genitore ex naturale.

Tuttavia è di notevole interesse chiederci quale sia l’effettivo àmbito di applicazione di tale norma e, pertanto, se essa riguardi la tutela dei diritti al mantenimento dei soli figli nati fuori del matrimonio oppure se possa avere un àmbito più vasto e riguardare anche la filiazione matrimoniale, specificando, in tal caso, quale rapporto sussista tra la norma introdotta dalla legge del 2012 e quanto dispongono gli artt. 156, comma 6, e 8, L. div.

La questione della individuazione dei figli che possono invocare la nuova norma non è, tuttavia, così piana, tanto è vero che, della stessa, vi sono sul punto opposte letture, poiché mentre sembra prevalere l’orientamento che ne limita l’applicazione alla tutela dei soli figli nati al di fuori del matrimonio, vi è anche una parte della dottrina che ravvisa in essa una regola generale, introdotta non soltanto per colmare una lacuna da tempo esistente per quanto riguarda la filiazione naturale, ma anche per razionalizzare la disciplina, attualmente esistente, dettata in materia di separazione[7].

Per cogliere, con maggior precisione, la portata precettiva della nuova disposizione sembra utile muovere dall’inquadramento della stessa, parso subito incerto a causa del suo collocamento in un articolo della L. n. 219 del 2012, il terzo, rubricato “Modifica dell’art. 38 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni a garanzia dei diritti dei figli agli alimenti e al mantenimento”.

Preme sùbito rilevare che il comma 2 di tale articolo che disciplina, per l’appunto, il sistema delle garanzie patrimoniali a tutela dei crediti di mantenimento e alimentari, non è stato inserito nel dettato della norma di attuazione, né abbia trovato sistematica collocazione in altra disposizione vigente. Infatti, l’art. 3 della L. n. 219 del 2012 si compone di due distinte disposizioni, del tutto autonome l’una dall’altra, delle quali solo la prima ha revisionato la disposizione di attuazione al codice civile, avvalorando la tesi della valenza generale che è possibile accordare all’art. 3, comma 2, così da ricondurne il disposto al variegato sistema delle disposizioni di garanzia patrimoniale dei crediti da mantenimento ed alimentare della prole.

Resta, invece, del tutto irrisolto il rapporto che intercorre tra le diverse fonti che disciplinano il rimedio del versamento diretto e che, allo stato, pare ancora difficile da definire, anche per il pratico contrasto cui conduce la loro applicazione. Infatti, non è mancato chi, con l’entrata in vigore dell’art. 3, comma 2, L. n. 219 ha avanzato la tesi dell’abrogazione delle norme che, nella separazione e nel divorzio, tutt’oggi regolano il sistema della tutela patrimoniale dei figli; tesi che si è tentato di avvalorare, in forza della generale vocazione delle disposizioni del 2012, e di sostenere, invocando il precetto della successione delle leggi nel tempo[8].

Ragioni d’ordine sistematico, unite a quanto dispone l’art. 15 delle preleggi, portano, tuttavia, ad escludere siffatta evenienza[9]. Invero, sembra certo che permanga una variegata stratificazione di fonti, vòlte a disciplinare i medesimi istituti, con le negative implicazioni che discendono sull’individuazione della disciplina applicabile, non sempre agevole, anche a causa del rinvio che l’una disposizione di legge dispone al corpo normativo dell’altra, come appunto è avvenuto nel formulare l’art. 3, comma 2. Un’evenienza, questa, che genera, come si è notato, soluzioni interpretative anche “pericolosamente divergenti”[10] ed un evidente contrasto che emerge tra il diversificato sistema di tutele oggi invocabili ed il proclamato principio dell’unità dello status filiationis, che avrebbe, invero, predicato l’adozione di una disciplina uniforme, applicabile a tutti i figli, senza distinguo alcuno[11].

Osservazioni conclusive

Per tornare alla disposizione cui si riferisce l’annotato provvedimento, resta da stabilire quale sia, alla luce delle regole del 2012, la disciplina applicabile per promuovere il versamento diretto di somme e, quindi, se l’ordine nei confronti del terzo sia necessariamente oggetto d’un provvedimento giudiziale oppure se possa essere affidato ad una richiesta rivolta, direttamente, dalla parte nei confronti del terzo debitore del genitore inadempiente.

L’antitesi che caratterizza il disposto del comma 2 dell’art. 3 della L. n. 219, nella parte che qui interessa, impone una lettura della norma tale da annullare ogni incertezza[12]. Invero, sembra assai difficile sottovalutare l’indicazione che proviene dalla collocazione di tale norma in una legge espressamente destinata alla tutela dei figli un tempo naturali e che, pertanto, essa non abbia avuto la possibilità di operare oltre tale àmbito, abrogando le regole già contenute nel codice civile e nella legge sul divorzio nella parte in cui disciplinavano gli strumenti di garanzia del diritto al mantenimento dei figli minori.

Invero, l’unità dello status di figlio e le esigenze di certezza e di effettività della tutela dei diritti da assicurare ad ogni persona, dovrebbero condurre al superamento dell’attuale “reticolo di eterogenei strumenti di tutela” dei crediti da mantenimento, per affrontare, piuttosto e con risolutezza, tutti i problemi insiti nell’“esecuzione dei provvedimenti a contenuto economico-patrimoniale che incidono sui diritti dei figli”[13].

La riforma del 2012 non è intervenuta in modo razionale su questa materia e questa occasione non è stata colta dal legislatore per abrogare, espressamente, la disciplina pregressa, introducendo strumenti uniformi di garanzia del credito per dare effettiva tutela a tutti i figli, nati o non nati nel matrimonio. Con essa, si è persa, altresì, l’occasione per superare, anche, i noti limiti che la disciplina prevista in materia di separazione e divorzio hanno evidenziato nel corso della loro lunga applicazione[14] che è stata spesso agevolata dall’intervento illuminante della Corte costituzionale[15].

In sintesi: la scelta di politica legislativa avutasi nel 2012 e la tecnica legislativa assai discutibile adottata nel comporre il citato art. 3, unitamente all’incertezza definitoria che accompagna le sue disposizioni sui molti profili segnalati, non da ultimo quello riguardante l’individuazione dell’“avente diritto”, consegnano alla prassi uno strumento normativo che, per essere applicato, impone di condurre precise scelte. Tra queste, in particolare, quella di stabilire se, ai fini del funzionamento dell’istituto del versamento diretto, si debba accogliere, o meno, il rinvio disposto alla disciplina dettata all’art. 8 della L. n. 898 del 1970 ovvero se debba, o no, ritenersi assorbente il richiamo disposto alla natura giudiziale dell’ordine[16].

Nell’interpretare l’art. 3, comma 2, occorre interrogarsi, inoltre, su quale spazio abbia la regola di cui all’art. 12, preleggi, secondo cui, come è noto, nell’applicare una legge, “non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole”: una regola difficile da applicare ad una norma per cui l’ordine al terzo assume sia una valenza giudiziale, sia una valenza non giudiziale, per l’esplicito rinvio compiuto dalla norma del 2012 alla legge sul divorzio e, in particolare, al suo art. 8, che prevede uno strumento rimediale di tutela ed attuazione del diritto in larga misura stragiudiziale. Tutto ciò, peraltro, senza neppure prevedere un’esplicita riserva di compatibilità[17].

Alla luce delle riflessioni sin qui avanzate, occorre, in conclusione, condividere la lettura che della norma è stata avanzata dal provvedimento, oggetto di queste note, poiché il rinvio operato alla disciplina di cui all’art. 8 della legge sul divorzio non può avere altro significato che quello di aprire la strada ad una interpretazione che favorisca l’accesso alla via stragiudiziale per la formulazione dell’ordine di pagamento nei confronti del terzo debitor debitoris. Ci si può solo chiedere quanto il ricorrente abbia apprezzato questa decisione e, nel caso di specie, se il tribunale avrebbe, forse, fatto meglio, per le ragioni di effettività che lo stesso invoca, a dare immediata tutela al coniuge che l’aveva richiesta, nell’interesse del figlio, accogliendo una domanda che, allo stato, risulta essere comunque fondata sulla lettera della legge.

(Articolo di Silvia Tarricone, tratto da Famiglia e diritto (n. 1/2017), Ipsoa. Per maggiori informazioni >>)

_____________


[1] In questo senso vedi già Trib. Milano 24 aprile 2013, che aveva già assegnato natura stragiudiziale alla procedura di cui all’art. 3, comma 2, L. n. 219 del 2012.

[2] Il Collegio mantovano non è quindi chiamato a stabilire se la locuzione “avente diritto”, sovente impiegata dal legislatore ed anche da quello dell’ultima riforma, faccia riferimento al minore e che, pertanto, sia quest’ultimo parte del giudizio in persona del genitore che ne ha la rappresentanza legale. In dottrina, per la qualificazione della nozione di avente diritto e per l’individuazione dei crediti tutelabili a norma dell’art. 156, comma 6, c.c., si vedano, senza pretesa di completezza alcuna, F. Danovi, La crisi della famiglia. Il processo di separazione e divorzio, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu – Messineo – Mengoni, continuato da Schlesinger, IV, Milano, 2015, 688 testo e note e F. Tommaseo, I profili processuali della riforma della filiazione, in questa Rivista, 2014, 526 ss., specie 533 anche per una introduzione delle questioni interpretative sottese al citato art. 3, comma 2.

[3] Il criterio dell’unicità dello stato giuridico in materia di filiazione ha trovato esplicita enunciazione nel testo novellato degli artt. 315 e 315 bis c.c. e, per la loro esegesi, cfr. M. Sesta, L’accertamento dello stato di figlio dopo il decreto legislativo n. 154/2013, in questa Rivista, 2014, 454 ss. e G. Ferrando, Stato unico di figlio e varietà dei modelli familiari, ibidem, 2015, 952 ss.

[4] Su cui, ex plurimis, M. Acone, La tutela dei crediti di mantenimento, Napoli, 1985; M.G. Civinini, Provvedimenti cautelari e rapporti patrimoniali tra coniugi in crisi, in questa Rivista, 1995, 371; F. Danovi, Esecuzione forzata e garanzie patrimoniali tra coniugi in crisi, in questa Rivista, 2005, 1349 ss.; Id., La crisi della famiglia, cit., 663 ss.; G. Servetti, Garanzie patrimoniali dei provvedimenti economici nella separazione e nel divorzio, in questa Rivista, 1994, 94; Id., Le garanzie patrimoniali nella famiglia. Corresponsione diretta, sequestro, ipoteca, Milano, 2013.

[5] Tra i primi commenti alla novità normativa, si rinvia a G. Buffone – G. Servetti, Garanzia dei provvedimenti patrimoniali in materia di alimenti e mantenimento della prole nell’art. 3 della legge 219/2012, in Dir. fam. pers., 2013, 1521 ss.

[6] È opportuno ricordare che l’àmbito di applicazione dell’art. 156, comma 6, riguarda sia i crediti di mantenimento di cui sia titolare il coniuge, sia quelli che riguardano i figli: la norma citata richiama, infatti, anche gli obblighi previsti dall’art. 155 c.c., divenuto oggi norma di rinvio alle disposizioni riguardanti i figli matrimoniali e non matrimoniali, contenute nel capo II del titolo IX del medesimo Primo libro del codice sostanziale.

[7] Cfr. F. Danovi, La crisi della famiglia, cit., 687 ss., specialmente nt. 61.

[8] Questa è, ad esempio, la posizione di A. Graziosi, Una buona novella, cit., 278. Contra F. Danovi, La crisi della famiglia, cit., 666. L’A. esclude che le nuove norme abbiano abrogato gli artt. 156 c.c. e 8 legge div., trattandosi di norme a vocazione generale sulle quali la Consulta è più volte intervenuta, specificandone ed integrandone la portata ed in quanto tali difficilmente abrogabili da disposizioni normative “speciali”, quali sono quelle dettate nel 2012.

[9] Netto, al riguardo, è anche F. Tommaseo, La nuova legge sulla filiazione: i profili processuali, cit., 260 il quale precisa come “le nuove norme non hanno certo l’effetto di abrogare quelle vigenti in materia di separazione: lo si ricava da quanto dispone il terzo comma dell’art. 38 disp. att. c.c., per cui resta in vigore quanto previsto per le azioni di stato, e lo conferma il richiamo disposto dalla stessa legge ad alcune norme processuali contenute nella legge sul divorzio”.

[10] Così, quasi testualmente, F. Danovi, La crisi della famiglia. Il processo di separazione e divorzio, cit., 665.

[11] Dottrina e giurisprudenza hanno sempre evidenziato la necessità di condurre un intervento di razionalizzazione dell’intera materia. Su tale aspirazione, si vedano, ad esempio, A. Graziosi, L’esecuzione forzata dei provvedimenti del giudice in materia di famiglia, in questa Rivista, 2008, 880 ss. e, più di recente, F. De Santis, Profili attuali delle tutele speciali dei crediti di mantenimento, cit., 55 ss. anche per opportuni riferimenti giurisprudenziali.

[12] Cfr. F. Danovi, Le ultime riforme in tema di diritto di famiglia e processo, par. 8, cit.

[13] Cfr. nuovamente, F. Danovi, La crisi della famiglia, cit., 663, il quale, riferendosi agli strumenti che nel nostro ordinamento consentono di attuare la portata economica dei provvedimenti giurisdizionali, discute, a ragione, di “esecuzione” dei provvedimenti in senso a-tecnico, quale generica possibilità di realizzare, coattivamente, il dictum giudiziale.

[14] Sulle quali, si veda, F. Danovi, op. ult. cit., 687 ss., 710 ss. a cui si rinvia sui termini del dibattito formatosi sulla natura degli obblighi tutelabili ex art. 156, comma 6, c.c., per individuare i soggetti che possono invocare la misura e per stabilire quale sia l’ufficio giudiziario deputato ad impartire l’ordine, secondo la tipologia del procedimento giurisdizionale pendente o da instaurare e, ancora, per l’inquadramento dell’istituto disciplinato nella legge sul divorzio e per l’individuazione dei presupposti e delle condizioni per procedere in via esecutiva diretta.

[15] Sui plurimi interventi della Corte costituzionale sulle norme regolanti, nella materia della separazione e del divorzio, il sistema delle garanzie patrimoniali e, nello specifico, il rimedio del versamento diretto, sia nuovamente consentito il rinvio a F. Danovi, op. ult. cit., 687 ss.

[16] Sul punto, tra i molti, si vedano F. Tommaseo, La nuova legge sulla filiazione, cit., 260, per il quale sarebbe stato preferibile estendere la disciplina dettata per la separazione e G. De Marzo, Novità legislative, cit., 16.

[17] In dottrina si è avanzata l’idea che il richiamo alla disciplina del divorzio, condotto in forza del rinvio disposto all’art. 8, commi 2 ss., L. n. 898 del 1970 non comporti un esplicito e certo rinvio anche alla disciplina dell’azione diretta. Così, se ben si è inteso, Così F. Danovi, op. ult. cit., 667, testo e note.

 

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