Tocca anche Ravenna la lunga indagine sul riciclaggio dei proventi della criminalità organizzata in attività commerciali svolta dalla Direzione distrettuale antimafia di Bologna, che ha scosso il mondo del cibo sotto le Due Torri e che ha portato alla disposizione di 16 misure cautelari. Tra queste quella che ha riguardato Omar Mohamed, 38enne originario di Crotone ma da tempo residente a Bologna. L’uomo si trova in carcere ed è indiziato di una serie di reati, tra cui riciclaggio, reimpiego di proventi illeciti, usura, estorsioni, favoreggiamento della prostituzione e tentato sequestro di persona, alcuni con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa e del metodo mafioso.
L’imprenditore, che oggi si è avvalso della facoltà di non rispondere nell’interrogatorio davanti al giudice per le indagini preliminari, era infatti il legale rappresentante della Food Italy srl, della quale era anche socio di maggioranza, con sede legale a Bologna ma luogo di esercizio a Ravenna. Nello specifico aveva aperto nel 2017 la pizzeria ‘Pizzart‘ all’interno della Darsena Pop Up, locale poi chiuso nel 2022, ben prima dello “smantellamento” dei container. Il locale serviva pizza alla pala e d’asporto.
Locali comprati con le mazzette, estorsioni e auto di lusso: così “lo sceicco” dominava coi soldi della mafia
Il 38enne aveva aperto numerosi locali e ristoranti, acquistava garage e immobili sparsi per Bologna e girava a bordo di Ferrari e Lamborghini, spesso mostrate con orgoglio sui social, tanto che gli altri ristoratori bolognesi lo avevano soprannominato “lo sceicco”. Secondo le indagini l’uomo, insieme a un amico anche lui finito in carcere, attraverso bonifici e mazzette tra il 2014 e il 2023 avrebbe elargito finanziamenti pari ad almeno 420mila euro. Proventi che sarebbero derivati dalle attività della criminalità organizzata, sottolineano gli investigatori, che Mohamed avrebbe poi ‘ripulito’ attraverso le sue attività, tenendone una parte per fare la “bella vita” mostrandosi con auto e orologi di lusso. La sua situazione patrimoniale si sarebbe rivelata sproporzionata rispetto ai redditi dichiarati. Si è proceduto quindi alla cosiddetta “confisca allargata” di quote sociali, compendi aziendali e immobili per un valore complessivo di circa due milioni di euro.
Tra Mohamed e l’amico, continuano gli investigatori, i prestiti sarebbero avvenuti secondo “un collaudato do ut des, uno scambio di favori criminali”. L’imprenditore restituiva il denaro proveniente dal clan anche in “regali”: come la Porsche Macan acquistata in leasing e riconsegnata al camorrista. “Senza questi finanziamenti illeciti”, si legge nelle carte delle indagini, Mohamed “non avrebbe potuto accumulare quanto in questo modo accumulato, poiché le banche non gli concedevano i prestiti richiesti. Le sue imprese sono inquinate da capitali illeciti che hanno operato nel mercato locale in palese concorrenza sleale con l’imprenditoria sana”.
Parallelamente al presunto riciclaggio, il ristoratore si sarebbe dedicato anche al commercio di orologi di lusso che legava all’attività di usura e alle estorsioni. Durante il periodo del lockdown, questa la versione degli inquirenti, Mohamed prestava denaro ad altri imprenditori messi in difficoltà dalla crisi e dai debiti “facendosi promettere e poi dare interessi usurari” che arrivavano fino al 240%. E se il creditore ritardava nella restituzione, il crotonese non esitava a passare alle intimidazioni e alle minacce, anche di morte. Un’escalation di violenza che è culminata in un episodio in “una vera e propria caccia all’uomo con spedizioni notturne e diurne” fuori dall’abitazione di un piccolo imprenditore, fino al momento in cui Mohamed, facendo spacciare la compagna per un maresciallo dei Carabinieri, avrebbe provato ad attirare la vittima fuori dalla caserma di San Lazzaro per mettere in pratica le minacce.
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L’imprenditore avrebbe attivato uno “stillicidio di gravi tentativi di estorsione con il concorso di più persone, capace di procurare gravissima intimidazione e pregiudizio alle vittime”. Spingendosi fino al sequestro di persona, reato aggravato dal metodo mafioso per cui è indagato in concorso con tre persone che, per recuperare un debito, avevano pianificato di andare a prendere la vittima all’arrivo in aeroporto a sua insaputa e trattenerla finché non avesse pagato. Spedizione fallita perché, una volta sul posto, avevano scoperto che il malcapitato era atterrato in un altro scalo.
Per quanto riguarda l’accusa di sfruttamento della prostituzione, secondo il giudice Mohamed in almeno tre serate avrebbe reclutato giovani donne sotto richiesta dei clienti che “volevano compagnia” durante la cena. Al telefono con un’amica, intercettato dagli investigatori, il 38enne descriveva le caratteristiche degli ospiti e la loro disponibilità non solo ad avere rapporti sessuali, ma anche quella economica, lasciando intendere il guadagno per la prestazione. In alcuni casi chiedeva anche se la donna riuscisse a portare anche altre amiche. Dalle intercettazioni emergerebbe come fosse l’imprenditore a organizzare il tutto, dall’orario al luogo dell’incontro fino al trasporto in taxi.
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