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Guerra e agricoltura, i due temi forti che hanno dominato la campagna delle elezioni europee e per certi versi legati anche da un sottile filo rosso. Mai come in queste elezioni l’agroalimentare è stato così presente e centrale nelle agende dei partiti. A livello italiano e comunitario. E dal settore è arrivato sicuramente un contributo importante alla vittoria del Governo Meloni.

Che ha sposato sin dall’inizio del suo mandato la causa agricola, con l’impegno a preservare la ricchezza del Paese con i suoi preziosi giacimenti che premiano in particolar modo il Mezzogiorno, patria della Dieta Mediterranea. Già nella ridenominazione del ministero, diventato oltre che dell’Agricoltura anche della Sovranità alimentare, è stata chiara la strada imboccata: valorizzazione dell’enorme patrimonio in termini di produzione, qualità e biodiversità. E se la Commissione Ue, sotto la guida di Ursula von der Leyen, ha cambiato marcia sulle politiche agricole lo si deve in buona parte anche al pressing italiano sulle istituzioni comunitarie. E dunque una eventuale nuova maggioranza Ursula non potrebbe più tornare indietro e il “green” dovrà essere rimodulato rispettando le esigenze produttive. Con il “Green deal” infatti l’obiettivo era stato spostato più sull’ambiente che sulle coltivazioni. Le due guerre (Ucraina e Medio Oriente) hanno fatto comprendere (se ce ne fosse stato ancora bisogno dopo la tragedia del Covid) che sull’agroalimentare si gioca una partita chiave per la sicurezza dei popoli. Delocalizzare significa perdere un pezzo di sovranità. L’agroalimentare è balzato agli onori della cronaca nei giorni cupi della pandemia con le frontiere bloccate. La capacità produttiva italiana ha consentito a tutti i cittadini di continuare a nutrirsi e bene e nelle nostre città non ci sono stati gli assalti ai negozi alimentari.

L’Ucraina

Poi è scoppiata l’inattesa guerra in Ucraina. E ancora una volta i governanti, a partire dal presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, hanno sottolineato la strategicità dell’alimentare. Nonostante queste “professioni” di fede nei confronti del settore, i leader delle istituzioni europee continuavano però a portare avanti politiche tese a smantellare le imprese agricole. Contro le “euro follie” l’esecutivo Meloni è sceso pesantemente in campo. Attaccando la linea dell’allora vice presidente della Commissione europea, Frans Timmermans, a cui Ursula aveva delegato la questione ambientale e che aveva messo sul tavolo carte inaccettabili per le migliori agricolture europee. Un pugno di direttive, da quella che obbligava i produttori a tagliare drasticamente (e senza alternative) i fitofarmaci all’equiparazione delle stalle alle ciminiere fino al divieto degli imballaggi per piccoli quantitativi di ortaggi, le famose insalate in busta che rappresentano la punta avanzata del settore ortofrutticolo, vanto delle regioni meridionali. La motivazione? Trasformare l’Unione europea in un “giardino”. In nome del green spinto alle estreme conseguenze i 27, secondo la teoria di Timmermans, avrebbero potuto tranquillamente approvvigionarsi dai Paesi terzi. Che quanto a inquinamento sono campioni e che comunque non offrono le stesse garanzie di qualità e sicurezza delle produzioni comunitarie e italiane. Poi da gennaio è esplosa anche la protesta dei trattori e la Commissione ha cambiato registro recependo molte delle richieste sostenute dall’Italia. I provvedimenti firmati dall’ex vice presidente sono stati bloccati. Così come, almeno per il momento, è congelato il Nutriscore, l’etichetta cosiddetta a semaforo, sostenuta dalle multinazionali, che promuove le patatine fritte o la Coca Cola light, ma boccia l’olio extra vergine di oliva. Proprio qualche giorno fa il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, aveva annunciato il ritiro del Nutriscore da parte del Portogallo, dopo un confronto con il nostro Paese. In Europa d’altra parte Agricoltura ed Esteri hanno fatto squadra. Come ha più volte ripetuto infatti il ministro Antonio Tajani la sicurezza alimentare non è «un lusso, ma una necessità fondamentale». Un’altra vittoria messa a segno dall’esecutivo è lo stop ai cibi realizzati in laboratorio. Dopo l’approvazione di una legge nazionale ( peraltro molto contestata) con il divieto di produrre, vendere e importare alimenti a base cellulare, alla scelta italiana si sono accodati dodici Paesi Ue che hanno chiesto una moratoria all’introduzione dei cibi “finti” nel nome del principio di precauzione invocato dalla normativa italiana.

Le premesse per un cambio di passo ci sono. Ora con la vittoria netta dell’attuale maggioranza di governo che sui temi agricoli ha avuto una linea unitaria, e il ruolo chiave che si profila per la Meloni In Europa , si aprono scenari nuovi e gli agricoltori potranno tirare un sospiro di sollievo. I “Verdi” non saranno più gli unici Soloni. E le politiche ambientali che anche il nostro esecutivo appoggia non saranno mai più contro l’agricoltura. Su questo anche la von der Leyen dell’ultimo periodo è stata chiara ribadendo che tutte le misure dovranno essere concordate con i produttori senza drastici interventi calati dall’alto. Parlamento, Commissione e Consiglio dovranno iniziare ad affrontare poi la riforma della Politica agricola comune (Pac) da cui arriva una pioggia di miliardi per le agricolture degli Stati membri. Un tesoretto di oltre 384 miliardi che negli ultimi dieci anni è stato sempre più difficile tutelare.

Le sirene dei tagli ai fondi Pac, che è la seconda voce del bilancio Ue, si continueranno a far sentire, ma con il nuovo quadro e la forza d’urto dei partiti conservatori sarà sicuramente più difficile penalizzare gli agricoltori riconoscendo loro una funzione fondamentale per il mantenimento dei territori. Perché come ha riconosciuto anche per legge l’Italia gli agricoltori sono i primi custodi degli habitat. La rilevanza economica è poi fuori dubbio. In Italia, secondo gli ultimi dati certificati da Ambrosetti, la filiera agroalimentare allargata ha raggiunto un valore superiore ai 600 miliardi, prima attività del Paese. Più agricoltura dunque e nuove potenzialità per quella meridionale. Lo spostamento degli interessi verso l’area del Mediterraneo sarà significativo anche per un nuovo paradigma del sistema agroalimentare che è stato inserito dal Governo tra gli asset del “Piano Africa”.
 



 

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