Michelangelo Craca, 34 anni, durante le vacanze in Grecia aveva soccorso il quarantenne Alan Sergio: «Era rimasto impigliato in mare, dopo averlo liberato l’ho rianimato. Importante conoscere le manovre salvavita»
Michelangelo Craca è un medico, 34 anni, e una specialistica in anestesia e rianimazione che concluderà a giorni. Certo, anche lui va in vacanza, ma il suo altruismo (vanta infatti una lunga carriera nella Croce Rossa di Parma) non ha ferie. E così, ad agosto sulle spiagge greche, quando ha visto un uomo che stava annegando non ci ha pensato due volte: lo ha liberato da un incastro sottomarino dove si era impigliato lo ha portato a riva, e ha praticato le manovre di rianimazione. Pochi giorni fa Alan Sergio è riuscito a incontrare il suo «angelo».
La richiesta di aiuto
Un cuore fermo è ripartito. E a distanza di mesi (anche di riabilitazione) ha brindato con lui alla vita.
Il giovane medico parmigiano a fine agosto era andato qualche giorno di ferie in Grecia. La specialistica che sta per terminare, i turni pesantissimi per i futuri anestesisti che fanno guardie di ore anche sulle ambulanze del 118 e l’estate agli sgoccioli. Ma con lui, la sua intraprendenza per la vita non è andata in ferie. O meglio: sì. Se la è portata dietro. Si trovava quindi a circa 70 metri da una spieggia di Zante, più precisamente su un’imbarcazione in una zona dove molti turisti noleggiano una barca, e prendono il sole a qualche decina di metri dalla riva. Quando ha sentito una richiesta d’aiuto.
L’intervento
«Help, help, aiuto, aiuto». Michelangelo ha subito capito che qualcuno aveva bisogno. Era una donna a chiedere aiuto e avvicinandosi Craca ha capito che chi necessitava di assistenza era il suo compagno.
Vi era infatti un uomo incastrato nella fune di ancora della piccola sua imbarcazione. «Eravamo a molta distanza da terra, ma la superfice non era così estremamente profonda, circa sei metri – racconta Michelangelo – io con anche degli aiuti mi sono immerso per liberarlo, è stato molto difficile ma in qualche modo, tagliando la fune, ce l’abbiamo fatta». Da quel momento è cominciata una corsa (o meglio, una nuotata) frenetica che ha riportato l’uomo a riva. Il cuore però era fermo.
La rianimazione cardiopolmonare
Michelangelo ovviamente non era dotato di tutti quei kit di sopravvivenza che si trovano sulle ambulanze e sulle automediche del 118. Ha fatto quello che tutti (come dice lui stesso) dovremmo saper fare: una rianimazione cardiopolmonare.
Mani incrociate sul petto della vittima e si fa su e giù per fare circolare ossigeno nel sangue e fare sì che il cuore abbia stimoli per riprendere a battere. «Vi era l’acqua che usciva dalla bocca, e piano piano il cuore è ripartito – racconta Michelangelo – poi via una serie di frenetici eventi: la linea che non prendeva, la difficoltà a chiamare l’ambulanza, un passaggio al porto su un gommone, soccorsi arrivati, io che ho seguito la vittima fino all’ospedale e il respiro di sollievo più grande della mia vita quando ho realizzato e capito che il lavoro che avevo fatto era servito a qualcosa e che la vita aveva trionfato ancora».
L’incontro
L’uomo è stato in terapia intensiva per parecchio tempo, ma fuori pericolo. Poi ha ripreso a parlare, camminare e altre funzioni autonome. E ha voluto rivedere il «suo eroe».
I due, con uno spirito di amicizia nato in un bar del centro a Parma dicono ad una voce: «La vita è una sola prestate attenzione anche nelle piccole cose, al mare, in montagna, in auto: non mettetela a rischio. E imparate le basilari (ma vitali) manovre salvavita (BLS) che, in attesa dell’arrivo dei soccorsi, possono dare una chance in più a chi sta male»
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