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(a cura di Emanuele Belotti, Politecnico di Milano)

L’intervento di Ilaria Salis sulla legittimità delle occupazioni informali di alloggi pubblici inutilizzati da parte di nuclei familiari in condizioni di esclusione abitativa illumina un tema urgente che, tuttavia, è quasi sempre trattato in modo sensazionalistico, enfatizzando casi limite e senza prestare attenzione alle cause sociali. È perciò utile fornire alcuni elementi di conoscenza.

L’Italia ha un sistema abitativo cosiddetto “familistico”: la prevalenza di nuclei familiari proprietari di casa (robustamente sostenuti dallo stato nell’accesso all’abitazione) fa il paio con un settore dell’affitto tra i più compressi e deregolamentati in Europa (Figura 1), dove la locazione sotto i prezzi di mercato è marginale. Per di più, le politiche di assistenza sociale sono residuali e limitate alla popolazione più deprivata. È dunque la casa di proprietà il perno del welfare, che garantisce a chi può accedervi protezione sociale e un bene rifugio mobilitabile in caso di necessità.


Figura 1. Distribuzione dei nuclei familiari residenti per titolo di godimento dell’abitazione in Unione Europea (Eurostat, 2023)

Figura 1. Distribuzione dei nuclei familiari residenti per titolo di godimento dell’abitazione in Unione Europea (Eurostat, 2023) 

Dunque, in Italia l’affitto non è un’opzione attrattiva come altrove in Europa, ma è prerogativa di chi non ha mezzi economici o sostegno familiare per acquistare la casa. Non a caso, il 66% dei nuclei in locazione appartiene ai due quinti più bassi di reddito equivalente (le fasce più povere della popolazione), per cui l’affitto è sovente una voce proibitiva. Quando titolati, tali nuclei possono accedere a contributi per il sostegno all’affitto che tuttavia sono contingentati e coprono una quota parziale del canone di locazione.

Laddove, dagli anni Novanta, l’abolizione dell’equo-canone (che fissava canoni massimi applicabili localmente) ha condotto al progressivo incremento degli affitti, l’offerta di edilizia pubblica è rimasta l’unico strumento per assorbire la crescita dell’esclusione abitativa che ne è derivata. Al contempo, però, tale offerta è andata assottigliandosi a causa della vendita parziale e del deperimento dello stock, su cui grava la carenza di finanziamenti per l’edilizia pubblica.

In Lombardia, tra il 2017 e il 2022, la vendita di alloggi pubblici è proseguita al ritmo di 400 unità all’anno. Inoltre, circa il 17% dello stock posseduto o gestito dalle ALER (Aziende Lombarde Edilizia Residenziale) nel 2022 era sfitto per carenze manutentive oppure era in attesa di assegnazione, mentre il 4% era locato a prezzi di mercato o quasi-mercato. Complice di tale dinamica è l’aziendalizzazione delle ALER che, in assenza di adeguati finanziamenti, sono state costrette ad autosostentarsi tramite canoni che, per propria finalità sociale, sono però troppo esigui per ripagare i costi di gestione.

In questa cornice, una quota di alloggi pubblici sfitti, fatiscenti e sprovvisti di requisiti di abitabilità, è divenuta rifugio informale per nuclei in condizioni di esclusione abitativa. Ma, a Milano, le occupazioni informali, piuttosto che represse, paiono sovente gestite da ALER caso per caso, nel quadro dalla carenza delle politiche di assistenza sociale. L’esecuzione di sgomberi è di norma “graduata” in funzione del profilo di bisogno di ogni nucleo, mentre a Milano non mancano esempi di regolarizzazione selettiva di residenti informali previa valutazione delle loro condizioni socio-economiche.

È qui che entrano in gioco sindacati e movimenti sociali per il diritto all’abitare, i quali, lungi dal sostenere acriticamente le occupazioni informali, sono impegnati nella tutela di chi ad esse ricorre per necessità. In più casi, regolarizzazioni sono giunte a compimento di una complessa negoziazione tra ALER e parti sociali. Nel 2016, il Comitato Abitanti di San Siro ha promosso una campagna (unica nel genere) per scoraggiare nuclei in condizioni di esclusione abitativa dal rivolgersi al “racket delle case popolari”, ossia a pratiche di cessione o locazione di alloggi sfitti occupati a fini di lucro.

I dati confortano l’idea che le occupazioni informali riflettano innanzitutto condizioni stringenti di bisogno. Il numero di alloggi pubblici occupati a Milano è infatti cresciuto negli anni seguenti lo scoppio della crisi finanziaria del 2008-2009, per poi scendere dal 2017 fino ai valori minimi del 2023 (Figura 2). Se a essere occupati sono quasi sempre alloggi in disuso, la loro occupazione va letta dunque alla luce di fattori socio-economici cui i segmenti più deprivati di popolazione sono più vulnerabili, in primis in ragione della limitata sostenibilità sociale della locazione di mercato.

Figura 2. Confronto tra tasso di rischio di povertà in Lombardia e numero annuo di occupazioni informali nei soli alloggi di ALER Milano (Eurostat, ALER, 2009-2023)
Figura 2. Confronto tra tasso di rischio di povertà in Lombardia e numero annuo di occupazioni informali nei soli alloggi di ALER Milano (Eurostat, ALER, 2009-2023)

Figura 2. Confronto tra tasso di rischio di povertà in Lombardia e numero annuo di occupazioni informali nei soli alloggi di ALER Milano (Eurostat, ALER, 2009-2023) 

Non si intende negare l’esistenza di forme di impiego opportunistico del patrimonio abitativo pubblico. Ma la natura minoritaria di tali pratiche invoca distinguo piuttosto che generalizzazioni. L’azione pubblica rivolta al fenomeno, oltre che misurarsi con carenze e sotto-finanziamento dell’edilizia pubblica, richiede una presa in carico sociale delle condizioni di esclusione abitativa sottostanti il suo riprodursi.

Le graduatorie per l’assegnazione di alloggi pubblici incarnano un principio di equità, certo. Di nuovo, vanno però compresi anche i fattori di costrizione materiale che spingono nuclei familiari a scavalcarle tramite occupazioni informali. Sulla base di tali condizioni, vanno operate valutazioni che attengano innanzitutto alla sfera dei diritti sociali. Se le occupazioni informali di alloggi pubblici hanno ragioni strutturali che invocano distinguo, esse, in nessun caso, possono essere però la soluzione al problema abitativo. Ilaria Salis rammenta nel suo intervento le condizioni di vulnerabilità e incertezza di chi occupa alloggi pubblici: va riconosciuto come proprio queste condizioni qualifichino le occupazioni informali come evidenza di un diritto negato, anziché esserne il soddisfacimento. Da qui occorre ripartire.

 

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