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Il decreto ingiuntivo o provvedimento monitorio o ingiunzione di pagamento è uno strumento rapido, efficace e poco costoso messo a disposizione del creditore per il recupero del proprio credito. Garantisce al ricorrente un titolo esecutivo, in tempi brevi, per aggredire i beni del debitore. Nondimeno, proprio a causa della sommarietà della procedura, si può ricorrere a tale istituto solo in casi specifici, esaminati nella presente trattazione.

Sommario

1. Cos’è il decreto ingiuntivo?

2. A cosa serve il decreto ingiuntivo?

3. Quando si può richiedere un decreto ingiuntivo?

3.1 Titolarità di un diritto di credito

3.1.1. Somma di denaro liquida ed esigibile

3.1.2 Determinata quantità di cose fungibili

3.1.3. Consegna di una cosa mobile determinata

3.2. La prova del diritto di credito deve essere scritta

4. Cosa può fare il creditore prima di attivare un procedimento d’ingiunzione?

5. Giudice competente ad emettere il decreto ingiuntivo (art. 637 c.p.c.)

6. Il procedimento del ricorso per decreto ingiuntivo

6.1 Che cosa deve contenere il ricorso per decreto ingiuntivo?

6.2. Decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo

6.3. Deposito del ricorso

6.4. Ricorso per decreto ingiuntivo telematico

6.5. La decisione del giudice: richiesta di integrazione della prova, accoglimento del ricorso, rigetto del ricorso (estrema sintesi su questo punto)

6.6. La notifica del decreto ingiuntivo

6.7. Schema riassuntivo

7. Come iniziare l’esecuzione dopo aver ottenuto un decreto ingiuntivo?

7.1. Cosa fare nel caso di decreto ingiuntivo non provvisoriamente esecutivo

7.2. Cosa fare nel caso di decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo

7.3. Come fare a sapere se il debitore è capiente

7.4. I tipi di esecuzione

8. Che cosa può fare il debitore che riceve un decreto ingiuntivo? (brevi e sintetici cenni alla procedura di opposizione al decreto ingiuntivo)

9. Ricorso per ingiunzione: i tempi

10. Quanto costa il procedimento per ingiunzione?


1. Cos’è il decreto ingiuntivo?

Il decreto ingiuntivo o provvedimento monitorio o ingiunzione di pagamento (o di consegna) è un atto giudiziario con il quale il giudice, su richiesta del creditore, ingiunge al debitore:

  • il pagamento di una somma di denaro,
  • la consegna di una determinata quantità di cose fungibili,
  • la consegna di una cosa determinata.

Trattandosi di un atto giudiziario, trova la propria disciplina nel codice di procedura civile, agli articoli 633 e seguenti. Rientra nei procedimenti con prevalente funzione esecutiva, ossia:

  • l’iter è più veloce e snello rispetto ai procedimenti ordinari,
  • consente di conseguire rapidamente un titolo esecutivo,
  • a cui segue l’esecuzione forzata (vale a dire il pignoramento dei beni del debitore).

Infatti, il decreto è emesso senza contraddittorio (ossia non viene ascoltata la controparte) e senza un accertamento approfondito del diritto fatto valere; si parla, a tal proposito, di cognizione sommaria, proprio perché è superficiale. Naturalmente, la sommarietà viene meno, qualora il debitore-ingiunto formuli l’opposizione, in quel caso, il procedimento diventa a cognizione piena, con tutte le garanzie del contraddittorio (c.d. contraddittorio differito) e dell’istruzione probatoria, nonché con aggravio di tempi e costi.


2. A cosa serve il decreto ingiuntivo?

Il decreto ingiuntivo è uno strumento messo a disposizione del creditore al fine di ottenere velocemente il bene di cui ha diritto. La sua peculiarità consiste:

  • nella snellezza del procedimento,
  • nella velocità di emissione,
  • nei costi ridotti (rispetto ad un processo ordinario).

Una volta ottenuto il provvedimento munito della formula esecutiva, esso costituisce titolo esecutivo, ossia quello strumento che la legge chiede al creditore per legittimarlo ad iniziare l’espropriazione forzata (come il pignoramento dei beni del debitore). Nondimeno, per ricorrere alla procedura monitoria (cioè al ricorso per decreto ingiuntivo), è necessario che il credito abbia determinati requisiti, al di fuori dei quali è precluso l’accesso a tale procedimento.


3. Quando si può richiedere un decreto ingiuntivo?

Qualsiasi soggetto, persona fisica o giuridica, può ricorrere al procedimento di ingiunzione per ottenere la condanna del debitore al pagamento di quanto dovuto (è l’ipotesi più ricorrente). Le parti sono le seguenti:

  • il creditore viene definito ricorrente o ingiungente,
  • il debitore è il resistente o ingiunto.

Per depositare un ricorso per decreto ingiuntivo è necessario che ricorrano due condizioni:

a)      il ricorrente sia titolare di un diritto di credito (con le caratteristiche indicate nei paragrafi seguenti);

b)      abbia una prova scritta del credito vantato.

 

 

Guida pratica

Le modalità per il recupero dei crediti condominiali


Attribuzioni, funzioni e responsabilità dell’amministratore


3.1 Titolarità di un diritto di credito

Il diritto di credito va inteso in senso ampio, come diritto all’altrui prestazione. Può avere ad oggetto una somma di denaro liquida ed esigibile (è il caso più frequente), una determinata quantità di cose fungibili o la consegna di una cosa mobile determinata (art. 633 c. 1 c.p.c.). Non è possibile agire per ottenere crediti diversi da quelli indicati, quindi, sono esclusi:

  • i crediti di fare e non fare,
  • i crediti per il rilascio di cose immobili,
  • i crediti aventi ad oggetto una quantità indeterminata di denaro o di cose fungibili.

A titolo di esempio, sarebbe inammissibile un ricorso per decreto ingiuntivo per ottenere il rilascio di un appartamento.

Di seguito, analizziamo le tre tipologie di credito elencate nell’art. 633 c. 1 c.p.c.


3.1.1. Somma di denaro liquida ed esigibile

La somma di denaro deve essere:

A titolo di esempio, si può ricorrere allo strumento monitorio:

  • per il pagamento degli onorari dei professionisti (art. 633 c. 1 n. 2 c.p.c.),
  • per i crediti di lavoro,
  • per i crediti derivanti dal contratto di locazione,
  • per gli oneri condominiali in base al riparto approvato in sede di assemblea (art. 63 c. 1 disp. att. c.c.)


3.1.2 Determinata quantità di cose fungibili

La procedura monitoria può essere iniziata per ottenere una determinata quantità di cose fungibili (art. 693 c.p.c.). Innanzitutto, i beni fungibili (o beni di genere) sono quelli che risultano identici, per qualità, ad altri beni dello stesso genere; ciò che conta è la quantità; solitamente, il bene fungibile per eccellenza è il denaro, sono tali anche i prodotti agricoli (un quintale di grano), i combustibili (un barile di petrolio) e così via. Ebbene, per ottenere l’emissione di un decreto ingiuntivo occorre che il credito abbia ad oggetto una quantità determinata, in difetto, il creditore è libero di accettare anche una somma di denaro (art. 639 c.p.c.).

Diversi da quelli su descritti sono i beni infungibili (o beni di specie), che non sono sostituibili indifferentemente con altri beni appartenenti allo stesso genere; ad esempio, un’opera d’arte o un immobile. Per questi beni, non è possibile ottenere un provvedimento d’ingiunzione.


3.1.3. Consegna di una cosa mobile determinata

Il credito può avere ad oggetto una cosa mobile, purché sia individuata; ad esempio, si può ottenere la consegna di un elettrodomestico acquistato a rate in cui il debitore non abbia pagato integralmente il corrispettivo; infatti, si tratta di un’azione contrattuale personale e non un’azione reale di rivendica (Cass. 6322/2006). Oltre ai beni in senso stretto, può chiedersi anche la consegna di documenti, ad esempio, un socio a cui venga inibito l’accesso alla documentazione contabile, può chiederne la consegna mediante un ricorso per decreto ingiuntivo o un condomino a cui l’amministratore neghi la consegna della documentazione delle spese può adire il giudice per ottenere quanto richiesto.


3.2. La prova del diritto di credito deve essere scritta

Il creditore che agisce per ottenere l’emissione di un decreto ingiuntivo deve fornire la prova scritta del credito fatto valere (art. 633 c. 1 n. 1 c.p.c.). La legge indica espressamente alcuni documenti (art. 634 c.p.c.):

  • polizze (assicurative, fideiussorie, di pegno),
  • promesse unilaterali (promessa di pagamento, ricognizione di debito, promessa al pubblico, titoli di credito come assegni e cambiali art. 642 c.p.c.),
  • scrittura privata,
  • telegramma (anche se mancante dei requisiti richiesti dal codice civile),
  • estratti autentici delle scritture contabili, per i crediti di somministrazione di merci, denaro e servizi resi da imprenditori commerciali. Ricordiamo che la fattura attesta solo la provenienza delle dichiarazioni da parte di chi l’ha emessa e non la veridicità del credito; pertanto, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, perde valore di prova, giacché è formata dalla stessa parte che se ne avvale.

Oltre ai documenti suindicati, si ricorda che vale come prova scritta, in ambito condominiale, anche il verbale sullo stato di ripartizione approvato dall’assemblea (art. 63 disp. att. c.c.).

Un discorso a parte meritano le parcelle per onorari o altre prestazioni di avvocati e notai (art. 633 c. 1 n. 1, 2 e art. 636 c.p.c.) su cui non ci soffermiamo nella presente trattazione.

 

 

Codice procedura civile commentato

Prova scritta



4. Cosa può fare il creditore prima di attivare un procedimento d’ingiunzione?

Prima di incardinare un procedimento ingiuntivo, il debitore inadempiente deve essere costituito in mora mediante intimazione o richiesta per iscritto (art. 1219 c.c.), trattasi di quella che nella prassi viene definita una lettera di costituzione in mora. Può essere redatta personalmente dal creditore ovvero da un legale dallo stesso incaricato. Si tratta di un atto con cui il creditore chiede l’adempimento dell’obbligazione entro certo un termine (solitamente 15 giorni), con l’avvertimento che, in mancanza, si adiranno le vie legali. Dalla costituzione in mora discendono importanti conseguenze. Infatti, il debitore inadempiente (una volta messo in mora):

Oltre alla costituzione in mora, si può ricorrere alla diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.); si tratta di un’intimazione rivolta per iscritto alla propria controparte contrattuale, in cui la si informa che avverrà la risoluzione del contratto (cosiddetta risoluzione ipso iure) nel caso in cui il debitore non adempia alla propria obbligazione entro un congruo termine (solitamente 15 giorni), fatto salvo il diritto di agire per il risarcimento del danno.


5. Giudice competente ad emettere il decreto ingiuntivo (art. 637 c.p.c.)

Per l’emissione di un decreto ingiuntivo è competente lo stesso giudice che lo sarebbe per una domanda proposta in via ordinaria (art. 637 c.c.). In estrema sintesi,

  • la competenza per valore appartiene al giudice di pace per le cause relative a beni mobili di valore non superiore a 5 mila euro (art. 7 c.p.c.) e, per quanto non di competenza del giudice di pace, appartiene al Tribunale (art. 9 c. 1 c.p.c.); 
  • la competenza territoriale: è competente il giudice del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio, e se sono sconosciuti, il luogo in cui ha la dimora (art. 18 c. 1 c.p.c.); se il convenuto non ha residenza, dimora nella Repubblica o sono sconosciute, è competente il giudice del luogo in cui risiede l’attore (art. 18 c. 2 c.p.c.). Questo è il foro generale, esistono anche fori facoltativi per le cause in materia di obbligazioni (art. 20 c.p.c.), in cui è competente il giudice del luogo in cui è sorta (forum obligationis) o deve essere eseguita (forum solutionis). È un foro facoltativo quello relativo ai crediti di avvocati e notai, in cui è competente il giudice del luogo in cui ha sede il consiglio dell’ordine al cui albo sono iscritti i professionisti (art. 637 c.p.c.). Infine, si ricorda il foro esclusivo del consumatore che prevede la competenza del giudice del luogo di residenza o domicilio del consumatore (art. 33 c. 2 lett. u, d. lgs. 206/2005). Pertanto, allorché il debitore sia un contraente debole, trova applicazione il foro esclusivo del consumatore, il quale “esclude” l’applicabilità di qualsiasi altro foro concorrente o alternativo. Quelli indicati dall’art. 637 c.p.c. sono fori facoltativi che cedono il passo rispetto al foro del consumatore, che è esclusivo. Il suddetto foro deve essere determinato avendo riguardo alla residenza della parte riferita al momento della domanda e non a quello della conclusione del contratto (Cass. Ord. 11389/2018), in virtù del principio di prossimità del giudice. Il foro esclusivo del consumatore ammette deroghe. Tuttavia, la legge presume come vessatoria una clausola che preveda un foro diverso; fatto salvo il caso in cui si dimostri che la clausola sia stata oggetto di una trattativa seria, effettiva ed individuale. Al di fuori di questi presupposti, la clausola si considera nulla, mentre il contratto rimane valido per il resto (art. 36 c. 1 d. lgs 206/2005). Per contro, è inderogabile il foro esclusivo del luogo in cui il consumatore ha la residenza (art. 66 d. lgs. 206/2005) nei contratti conclusi fuori dai locali commerciali dell’imprenditore; parimenti inderogabile è il foro relativo ai contratti a distanza conclusi tra consumatore e imprenditore.

Si ricorda che la competenza deve essere valutata con riferimento alla data di deposito del ricorso (Cass. 8118/2015).


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6. Il procedimento del ricorso per decreto ingiuntivo

Il creditore che vanti un titolo con le caratteristiche indicate nei paragrafi precedenti può procedere al deposito dell’omonimo ricorso presso la cancelleria del giudice competente. Per le cause di fronte al giudice di pace, il cui valore sia inferiore o uguale a 1.100 euro, il creditore può stare in giudizio personalmente, senza il ministero di un avvocato (art. 82 c. 1 c.p.c.). Al di fuori di questa ipotesi, è necessario rivolgersi ad un legale per incardinare un procedimento monitorio.


6.1 Che cosa deve contenere il ricorso per decreto ingiuntivo?

Il contenuto del ricorso per decreto ingiuntivo si evince dal combinato disposto degli artt. 125 e 638 c.p.c., in particolare devono essere indicati:

  • l’ufficio giudiziario (ossia il giudice competente, ad esempio Giudice di Pace di Genova o Tribunale di Savona),
  • le parti (le generalità di creditore e debitore, ossia nome e cognome, indirizzo, codice fiscale),
  • l’indicazione dell’avvocato del ricorrente oppure, quando è ammessa la costituzione di persona, la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio nel comune dove ha sede il giudice adito,
  • l’oggetto (il credito azionato),
  • le ragioni della domanda (ad esempio, l’inadempimento del debitore),
  • le prove che si producono (ad esempio, la fattura o la cambiale su cui si fonda la pretesa),
  • la richiesta della provvisoria esecuzione se vi sono i presupposti per ottenerla (art. 642 c.p.c.),
  • le conclusioni (la richiesta di ingiunzione di pagamento),
  • la procura alle liti,
  • la sottoscrizione, nell’originale quanto nelle copie da notificare, dalla parte, se essa sta in giudizio personalmente, oppure dal difensore, che indica il proprio codice fiscale, il proprio numero di fax e l’indirizzo PEC.

Il ricorso così redatto viene depositato in cancelleria, insieme ai documenti che si allegano e non possono essere ritirati fino alla scadenza del termine stabilito nel decreto d’ingiunzione (40 giorni solitamente) a norma dell’articolo 641.


6.2. Decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo

Come vedremo, se il giudice accoglie il ricorso (art. 641), ingiunge al debitore di pagare la somma o consegnare la quantità di beni richiesti entro il termine di 40 giorni. Nei casi previsti dalla legge (art. 642 c. 1 c.p.c.), il decreto può essere provvisoriamente esecutivo, ossia il giudice ingiunge il pagamento non già entro 40 giorni ma immediatamente, cioè entro 10 giorni dalla notifica titolo esecutivo e del precetto. Ciò si verifica se il credito è fondato su:

  • cambiale,
  • assegno bancario,
  • assegno circolare,
  • certificato di liquidazione di borsa,
  • atto ricevuto da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato.

La provvisoria esecuzione non può essere disposta in autonomia dal giudice, ma va richiesta dal ricorrente.

Vi sono altri casi in cui è facoltà del giudice concedere (o meno) la provvisoria esecuzione (art. 642 c. 2 c.p.c.), infatti la norma recita “il giudice può” non “il giudice deve”; si tratta delle situazioni in cui:

  • vi è pericolo di grave pregiudizio nel ritardo, ovvero
  • se il ricorrente produce documentazione sottoscritta dal debitore, comprovante il diritto fatto valere.

Nei due casi suindicati, il giudice può imporre al creditore il pagamento di una cauzione (art. 642 c. 2 c.p.c.), per garantire la restituzione della somma al debitore, nella circostanza in cui egli abbia pagato e il decreto sia stato successivamente revocato.

Al di fuori delle ipotesi succitate, vi sono casi di provvisoria esecuzione ex lege, ossia esistono specifiche disposizioni in cui il decreto ingiuntivo viene considerato immediatamente esecutivo per legge. A titolo di esempio, ricordiamo:

  • il decreto emesso per il pagamento dei canoni di locazione dovuti in caso di morosità (art. 664 c. 3 c.p.c.),
  • il decreto emesso per il pagamento delle spese condominiali su istanza dell’amministratore di condominio sulla base dello stato di ripartizione approvato dall’assemblea (art. 63 c. 1 disp. att. c.c.),
  • il decreto emesso dal presidente del tribunale su istanza di chiunque vi abbia interesse per il mantenimento della prole (art. 316 bis c. 2,3 c.c.);
  • il decreto richiesto dagli enti previdenziali per il recupero dei contributi e accessori per le forme obbligatorie di previdenza e assistenza (art. 1 c. 13, d. legge 688/1985),
  • il decreto emesso per il pagamento del prezzo non corrisposto nel contratto di subfornitura (art. 3 c. 4 legge 192/1998).

Inoltre, la provvisoria esecuzione in pendenza di opposizione (art. 648 c.p.c.):

  • può essere concessa dal giudice, se l’opposizione non è fondata su prova scritta o di pronta soluzione,
  • deve essere concessa l’esecuzione provvisoria parziale del decreto ingiuntivo opposto limitatamente alle somme non contestate, salvo che l’opposizione sia proposta per vizi procedurali;
  • deve essere concessa, se la parte che l’ha chiesta offre cauzione per l’ammontare delle eventuali spese, restituzioni e danni.


6.3. Deposito del ricorso

Il ricorso deve essere depositato presso la cancelleria del giudice competente:

  • presso il Tribunale è obbligatorio il deposito telematico,
  • presso il Giudice di Pace è ancora in vigore il deposito cartaceo.

Devono depositarsi in cancelleria:

  • la nota di iscrizione a ruolo,
  • il ricorso per decreto ingiuntivo,
  • la procura alle liti,
  • le prove,
  • il contributo unificato e l’anticipazione forfettaria (vedasi il paragrafo sui costi),
  • la nota spese dell’avvocato.


6.4. Ricorso per decreto ingiuntivo telematico

Come anticipato, presso il Tribunale, dal 30 giugno 2014, è obbligatorio il deposito telematico, salvo i casi in cui il giudice o il Presidente del Tribunale autorizzino il deposito cartaceo; ad esempio, quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti e sussiste un’indifferibile urgenza (art. 16 bis c. 4 d. legge 179/2012). Per il giudizio di opposizione, trattandosi di atto introduttivo, è ammissibile il deposito cartaceo. Il deposito telematico postula il rispetto delle regole tecniche del PCT (processo civile telematico). In estrema sintesi, si ricorda che il ricorso deve essere predisposto come un file pdf nativo (e non una scansione del ricorso cartaceo), sottoscritto con firma digitale. Mediante un apposito programma per la creazione della busta telematica, l’avvocato deve compilare i vari campi, flaggare l’opzione di provvisoria esecuzione – ove ne ricorrano i presupposti – allegare il ricorso in pdf come atto principale, la nota di iscrizione a ruolo (generata automaticamente dal programma), la procura scansionata; i predetti documenti, unitamente al file “dati atto”, vanno sottoscritti digitalmente; inoltre, alla busta di deposito, vanno uniti i documenti probatori e la ricevuta del pagamento del contributo unificato e dell’anticipazione forfettaria. I predetti pagamenti possono avvenire telematicamente o mediante F23; in alcuni fori, è ammessa la scansione del contributo unificato – acquistato materialmente come marca da bollo – purché venga consegnato successivamente (e fisicamente) in cancelleria. Tutti i files suindicati vengono compattati in un unico file (atto.enc), che rappresenta la “busta telematica” e trasmesso a mezzo PEC alla cancelleria competente.


6.5. La decisione del giudice: richiesta di integrazione della prova, accoglimento del ricorso, rigetto del ricorso

Una volta depositato il ricorso, il giudice deve pronunciarsi entro 30 giorni (art. 641 c.p.c.). Vi sono tre possibilità:

1) richiesta di un’integrazione probatoria (art. 640 c. 1 c.p.c.): qualora il giudice ritenga la domanda non sufficientemente motivata, invita il ricorrente a provvedere. Solitamente, nel provvedimento notificato all’avvocato, è indicato un termine entro cui effettuare l’integrazione richiesta. Nel caso in cui il ricorrente non ottemperi all’invito o non ritiri il ricorso, il giudice rigetta la domanda con decreto motivato.

2) rigetto del ricorso (art. 640 c. 2 c.p.c.): se mancano i presupposti richiesti per l’emissione del decreto (ad esempio, il credito non è esigibile), il giudice rigetta la domanda. La rigetta anche nel caso in cui ritenga non provato il credito o il ricorrente non provveda all’integrazione probatoria. Il rigetto del ricorso non impedisce al creditore di riproporlo. Contro il rigetto non sono esperibili mezzi di impugnazione.

3) accoglimento del ricorso (art. 641 c.p.c.): se la richiesta è fondata, il giudice la accoglie ed emette il decreto ingiuntivo. Il decreto contiene:

  • l’ingiunzione al debitore di pagare o consegnare quanto richiesto dal ricorrente;
  • il termine entro cui l’ingiunto può proporre opposizione (40 giorni), con avvertimento che in difetto il decreto diverrà esecutivo. Quando ricorrono giusti motivi, il termine di 40 giorni può essere ridotto fino a 10 oppure aumentato a 60. Se l’intimato risiede in uno degli altri Stati dell’Unione europea, il termine è di 50 giorni e può essere ridotto fino a 20 giorni. Se l’intimato risiede in altri Stati, il termine è di 60 giorni e, comunque, non può essere inferiore a 30 né superiore a 120 (art. 641 c. 2 c.p.c.). Se il decreto è provvisoriamente esecutivo, il giudice ingiunge al debitore di pagare senza dilazione, fermo restando il diritto di proporre opposizione nel termine di 40 giorni dalla notifica.
  • la liquidazione delle competenze dell’avvocato comprensive degli esborsi (contributo unificato e anticipazione forfettaria), con l’ingiunzione di pagamento (art. 641 c. 3 c.p.c.).


6.6. La notifica del decreto ingiuntivo

Il procedimento di ingiunzione avviene inaudita altera parte. Significa che il giudice emette il decreto senza “ascoltare” le ragioni del debitore, ma unicamente quelle del creditore. Pertanto, l’ingiunto viene a conoscenza dell’emissione di un decreto nei suoi confronti solo tramite la notificazione dell’ufficiale giudiziario. Il ricorso e il decreto sono notificati per copia autentica (art. 643 c. 2 c.p.c.), mentre gli originali rimangono depositati in cancelleria. Anche in questo caso, l’iter diverge a seconda che il decreto sia o meno provvisoriamente esecutivo. Ricordiamo che, dopo la notifica, il decreto ingiuntivo mantiene una “validità” di 10 anni.

A) Decreto ingiuntivo non provvisoriamente esecutivo

La notificazione deve avvenire entro 60 giorni dal deposito del decreto in cancelleria (90 giorni in caso di notifica al di fuori dell’Italia), in difetto lo stesso diventa inefficace (art. 644 c.p.c.), ma la domanda può essere riproposta. Il termine è perentorio e soggetto alla sospensione feriale. La notifica determina la pendenza della lite e interrompe il decorso della prescrizione.

In caso di mancata notifica del decreto, la parte alla quale non è stato notificato entro il termine di 60 giorni dalla sua emissione, può chiedere con ricorso al giudice, che ha pronunciato il decreto, la dichiarazione d’inefficacia (art. 188 disp. att. c.p.c.). In tal caso, il giudice fissa con decreto un’udienza per la comparizione delle parti davanti a sé e il termine entro il quale il ricorso e il decreto debbono essere notificati alla controparte. La notificazione è fatta:

  • nel domicilio eletto dal creditore, se avviene entro l’anno dalla pronuncia,
  • personalmente alla parte se è fatta posteriormente.

Sentite le parti, il giudice:

  • dichiara l’inefficacia del decreto ingiuntivo a tutti gli effetti con ordinanza non impugnabile;
  • rigetta l’istanza (in questo caso, la parte può riproporre domanda di dichiarazione d’inefficacia nei modi ordinari).

Nelle ipotesi di notifica tardiva, ossia effettuata dopo i 60 giorni, l’ingiunto ha come unica possibilità la proposizione di un’opposizione al decreto ingiuntivo (art. 645 c.p.c.) per chiedere la dichiarazione d’inefficacia del decreto.

Se ricorrono vizi di notifica, possono farsi valere in sede di opposizione, anche tardiva (art. 650 c.p.c.). Infatti, se è iniziata l’esecuzione sulla base di un decreto ingiuntivo la cui notifica è affetta da nullità, il debitore può proporre opposizione tardiva al decreto ingiuntivo.

Nei 40 giorni decorrenti dalla notifica, il debitore:

  • può adempiere;
  • può proporre opposizione,
  • può non adempiere né proporre opposizione: in questo caso, il decreto ingiuntivo (decorsi i 40 giorni) diventa definitivo e il creditore può chiedere l’apposizione della formula esecutiva. Ne segue la notifica del titolo esecutivo e del precetto e, decorsi 10 giorni, l’inizio dell’esecuzione forzata. Inoltre, quando il decreto è divenuto esecutivo, il creditore può iscrivere ipoteca giudiziale (art. 655 c.p.c.).

B) Decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo

Anche nel caso del decreto provvisoriamente esecutivo, la notificazione deve avvenire entro 60 giorni dal deposito del decreto in cancelleria (90 giorni in caso di notifica al di fuori dell’Italia), in difetto lo stesso diventa inefficace (art. 644 c.p.c.), ma la domanda può essere riproposta. La differenza rispetto al decreto non immediatamente azionabile risiede nel fatto che il decreto costituisce già titolo esecutivo e il creditore non deve attendere il decorso dei 40 giorni né controllare che il debitore non abbia formulato opposizione, per ottenere l’apposizione della formula esecutiva. Il creditore che abbia ottenuto la provvisoria esecuzione:

  • dispone di un titolo che è già valido per l’iscrizione di ipoteca giudiziale (art. 655 c.p.c.),
  • può notificare immediatamente al debitore ingiunto il decreto munito di formula esecutiva, unitamente al precetto,
  • decorsi 10 giorni senza che il debitore abbia adempiuto ed entro 90 giorni dalla notifica, può iniziare l’esecuzione forzata.

 

 

Rivista

Le notifiche nei processi di esecuzione forzata


Esecuzione forzata, n. 4, 1 ottobre 2019


6.7. Schema riassuntivo

A) Ricorso per decreto ingiuntivo SENZA provvisoria esecuzione

Deposito del ricorso in cancelleria =>

Decisione del Giudice =>

1) rigetta il ricorso (la procedura si conclude, ma il ricorso può essere ripresentato)

2) chiede integrazioni probatorie (la procedura continua e può portare ad un accoglimento o rigetto)

3) accoglie il ricorso => il creditore notifica al debitore le copie autentiche del ricorso (entro 60 gg a pena d’inefficacia)

  • debitore adempie (la procedura si conclude),
  • debitore non propone opposizione (entro 40 giorni) => il creditore chiede l’esecutorietà del decreto => lo notifica unitamente al precetto => può iscrivere ipoteca giudiziale => può iniziare l’esecuzione forzata
  • debitore propone opposizione (entro 40 giorni) => si apre un giudizio ordinario di cognizione.

B) Ricorso per decreto ingiuntivo CON provvisoria esecuzione

Deposito del ricorso in cancelleria =>

Decisione del Giudice =>

1) rigetta il ricorso (la procedura si conclude, ma il ricorso può essere ripresentato)

2) chiede integrazioni probatorie (la procedura continua e può portare ad un accoglimento o rigetto)

3) accoglie il ricorso immediatamente esecutivo => il creditore notifica al debitore le copie autentiche del ricorso unitamente all’atto di precetto (entro 60 gg a pena d’inefficacia) => può iscrivere ipoteca giudiziale => può iniziare l’esecuzione.

  • debitore adempie (la procedura si conclude),
  • debitore propone opposizione (entro 40 giorni) => opposizione al decreto ingiuntivo o, se è già iniziata l’esecuzione, opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi


7. Come iniziare l’esecuzione dopo aver ottenuto un decreto ingiuntivo?

Dopo l’emissione del decreto ingiuntivo e successivamente alla sua notifica, le modalità procedurali mutano a seconda che il provvedimento sia esecutivo (o meno). Nel primo caso, il decreto costituisce già titolo esecutivo e, pertanto, il creditore può avviare subito il pignoramento, nel secondo caso, invece, non è possibile iniziare immediatamente l’esecuzione forzata. Analizziamo le due ipotesi.


7.1. Cosa fare nel caso di decreto ingiuntivo non provvisoriamente esecutivo

Nel caso di decreto ingiuntivo non provvisoriamente esecutivo, dopo la sua notificazione, devono decorrere 40 giorni. In questo lasso di tempo, come abbiamo visto, il debitore ingiunto:

Ricordiamo che il titolo esecutivo costituisce la condizione necessaria per procedere all’esecuzione forzata. Per legge, i provvedimenti dell’autorità giudiziaria – come il decreto ingiuntivo – per valere come titolo esecutivo devono essere muniti della formula esecutiva (art. 475 c.p.c.). Si tratta di un’intestazione “Repubblica Italiana – In nome della legge” e dell’apposizione da parte del cancelliere, sull’originale o sulla copia, della seguente formula: «Comandiamo a tutti gli ufficiali giudiziari che ne siano richiesti e a chiunque spetti, di mettere a esecuzione il presente titolo, al pubblico ministero di darvi assistenza, e a tutti gli ufficiali della forza pubblica di concorrervi, quando ne siano legalmente richiesti».

A questo punto, il creditore può notificare il decreto ingiuntivo, munito di formula esecutiva, e del precetto. Il debitore non può più formulare opposizione al decreto ingiuntivo – salvo il caso di opposizione tardiva (art. 650 c.p.c.) – e decorsi 10 giorni dalla notifica, il creditore può iniziare il pignoramento dei beni del debitore.


7.2. Cosa fare nel caso di decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo

Nel caso di un decreto provvisoriamente esecutivo, il creditore dispone già di un titolo esecutivo, munito di formula esecutiva, pertanto può procedere immediatamente alla notifica del precetto – unitamente al decreto – e, decorsi 10 giorni, iniziare l’esecuzione forzata. In buona sostanza, non occorre attendere i 40 giorni necessari a far divenire definitivo il decreto non esecutivo. Quindi, riassumendo, il creditore che abbia ottenuto la provvisoria esecuzione:

  • dispone di un titolo che è già valido per l’iscrizione di ipoteca giudiziale (art. 655 c.p.c.),
  • può notificare immediatamente al debitore ingiunto il decreto munito di formula esecutiva, unitamente al precetto,
  • decorsi 10 giorni senza che il debitore abbia adempiuto ed entro 90 giorni dalla notifica, può iniziare l’esecuzione forzata.

A questo punto il debitore, a cui venga notificato un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo:

  • può proporre opposizione al decreto ingiuntivo (art. 645 c.p.c.), per contestare i presupposti per l’emissione del provvedimento e chiedere la sospensione della provvisoria esecuzione,
  • può presentare opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.), se intende contestare il diritto del creditore a procedere all’esecuzione;
  • può presentare opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.), se intende contestare la validità formale del titolo del creditore.


7.3. Come fare a sapere se il debitore è capiente

Dopo che il creditore è munito di titolo esecutivo, occorre decidere quali beni del debitore aggredire. Per questa ragione, prima di avviare il recupero del credito è opportuno informarsi sulla capienza dell’ingiunto, onde evitare un inutile dispendio di tempo e denaro.

Solitamente ci si accerta se il debitore sia titolare di beni immobili e se sugli stessi gravino pesi o vincoli. Per fare ciò, è necessaria un’ispezione ipotecaria per accedere alla consultazione dei registri, delle note e dei titoli depositati in Conservatoria. Le formalità consultabili sono le seguenti.

a) Trascrizioni: come prevede la legge (art. 2643 c.c.), sono soggetti a trascrizione gli atti di trasferimento o costituzione di diritti su beni immobili. Mediante l’ispezione delle trascrizioni è possibile sapere se il debitore sia titolare di beni immobili e se sugli stessi gravi un pignoramento o un sequestro o una domanda giudiziale. Nel caso in cui il bene sia già soggetto a pignoramento e abbia un valore sufficiente a soddisfare tutti i creditori, il titolare del decreto ingiuntivo può formulare un atto di intervento nel procedimento esecutivo pendente.

b) Iscrizioni: tramite l’ispezione ipotecaria, si possono visionare le formalità relative alla costituzione di ipoteche su immobili. Si pensi all’ipoteca volontaria iscritta sull’immobile a seguito del mutuo fondiario ovvero all’ipoteca giudiziale iscritta a seguito di un decreto ingiuntivo o, ancora, all’ipoteca esattoriale iscritta dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione per il mancato pagamento dei tributi. Tale verifica serve ad accertare se il bene del debitore sia ipotecato e a quanto ammonti l’ipoteca, per valutare se sia il caso di procedere al pignoramento immobiliare.

c) Annotazioni: dall’ispezione ipotecaria emergono anche le formalità che modificano precedenti trascrizioni, iscrizioni o annotazioni, come le cancellazioni di ipoteche e di pignoramenti.

Il creditore può accertare se il debitore disponga di un bene mobile registrato (una nave o un autoveicolo); infatti, i beni mobili registrati sono trascritti nel Pubblico Registro Automobilistico, il PRA. Ivi sono contenute tutte le iscrizioni, le trascrizioni e le annotazioni relative agli autoveicoli, ai motoveicoli e ai rimorchi (art. 2683 n. 3 c.c.), comprese le ipoteche, i sequestri, i fermi amministrativi, i pignoramenti. Il PRA è un registro pubblico, pertanto chiunque abbia interesse può ottenere i dati e le informazioni relative a qualsiasi veicolo iscritto mediante l’indicazione del numero di targa. La ricerca è possibile anche per nominativo, ma sono legittimati a proporla solo alcuni soggetti, come i titolari del bene registrato e gli avvocati (la richiesta deve essere volta all’instaurazione di un procedimento giudiziario o ad un procedimento già pendente, come quello di ingiunzione).

Un altro strumento per cercare i beni del debitore è rappresentato dalla ricerca dei beni da pignorare (art. 492 bis c.p.c.); si tratta di un’istanza, presentata con ricorso da parte del creditore al Presidente del Tribunale, mediante la quale egli viene autorizzato ad accedere «alle banche dati delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari, e in quelle degli enti previdenziali, per l’acquisizione di tutte le informazioni rilevanti per l’individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti». Tramite questo strumento, il creditore può conoscere, ad esempio, gli istituti di credito presso cui il debitore ha il proprio conto (ma, si badi, non la consistenza del conto); tale informazione risulta utile nel caso si decida per un pignoramento presso terzi.

7.4. I tipi di esecuzione

La scelta del tipo di esecuzione forzata dipende dai beni di cui dispone il debitore, per questa ragione è determinante operare un’indagine preliminare. A titolo di esempio:

  1. se il debitore è proprietario di beni immobili, si può optare per l’esecuzione immobiliare;
  2. se il debitore è titolare di uno stipendio o percepisce una pensione o è titolare di un conto corrente, lo strumento a cui ricorrere è l’esecuzione presso terzi;
  3. se il debitore possiede beni mobili (si pensi ad una collezione di quadri), può agirsi con l’esecuzione mobiliare;
  4. se il debitore possiede beni mobili registrati (come una nave, un’auto o un aereo), può agirsi con l’esecuzione mobiliare (art. 521 bis c.p.c.) che, vista la peculiarità della res pignorata, diverge dal normale pignoramento mobiliare.

In linea generale, l’esecuzione più costosa è quella immobiliare (vedasi il paragrafo sui costi).

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8. Che cosa può fare il debitore che riceve un decreto ingiuntivo?

Come abbiamo visto, l’emissione del decreto ingiuntivo avviene unicamente su richiesta del creditore, in assenza di contraddittorio del debitore. L’ingiunto può formulare opposizione al decreto ingiuntivo (art. 645 c.p.c.). L’opposizione rappresenta un ordinario giudizio di cognizione, pertanto, comporta una dilatazione dei tempi e un aumento dei costi. Nell’opposizione le parti sono:

  • l’opponente, ossia il debitore ingiunto,
  • l’opposto, ossia il creditore che ha ottenuto il provvedimento monitorio.

Si realizza una sorta di capovolgimento delle parti, giacché il debitore – opponente riveste il ruolo formale di attore (mentre sarebbe il convenuto) e il creditore – opposto risulta essere il convenuto (invece, sostanzialmente è l’attore). Per questa ragione, l’atto di citazione proposto dal debitore, in realtà, ha il contenuto di una comparsa di risposta (atto tipico del convenuto).

Il giudice, in questa sede, deve accertare la fondatezza del credito. Lo scopo dell’opponente è ottenere la sospensione della provvisoria esecuzione (se il decreto è provvisoriamente esecutivo) e la revoca del decreto ingiuntivo.

Preme ricordare che in sede di opposizione a decreto ingiuntivo occorre esperire il procedimento di mediazione obbligatoria (esclusa in caso di proposizione del procedimento monitorio), infatti, l’opposizione radica un procedimento ordinario e ne segue le regole. Il mancato esperimento comporta l’improcedibilità della domanda. Si segnala un contrasto – non sanato – sul soggetto su cui verta l’obbligo di azionare la mediazione, a causa dell’inversione delle parti a cui si accennava poco sopra. Infatti, di regola, tale onere grava sull’attore; ma nel giudizio di opposizione, l’attore formale è il debitore – opponente, mentre l’attore sostanziale è il creditore – opposto.

L’opposizione si propone con atto di citazione, salvo il caso di crediti relativi a rapporti di lavoro o locazione in cui si impiega il ricorso.

L’atto di citazione in opposizione, come abbiamo visto, ha la forma della citazione e il contenuto di una comparsa di risposta (art. 167 c.p.c. e 125 c.p.c.).

L’opposizione deve essere proposta:

  • entro 40 giorni decorrenti dalla notifica del decreto,
  • entro 50 giorni se l’intimato risiede in un paese dell’Unione europea,
  • entro 60 giorni se l’intimato risiede in un paese al di fuori dell’Unione europea, il termine non può essere inferiore a 30 né superiore a 120 (art. 641 c. 2 c.p.c.),
  • tra i 10 e i 60 giorni quando concorrono giusti motivi.

L’opposizione è inammissibile se esperita oltre i termini di cui sopra, salvo il caso di opposizione tardiva (art. 650 c.p.c.), che ricorre allorché il debitore dimostri di non aver avuto tempestiva conoscenza del decreto ingiuntivo:

  • per irregolarità della notificazione,
  • per caso fortuito,
  • per forza maggiore.

In ogni caso, l’opposizione tardiva è inammissibile decorsi 10 giorni dal primo atto di esecuzione (ossia il pignoramento).

L’atto di opposizione deve essere notificato al difensore del creditore (o alla parte se sta in giudizio personalmente); i termini di comparizione sono ordinari (un tempo erano ridotti della metà), ossia tra il giorno della notifica della citazione e quello dell’udienza di comparizione devono decorrere 90 giorni liberi (150 in caso di notifica all’estero).

Il creditore opposto deve costituirsi almeno 20 giorni prima dell’udienza di comparizione e quando si costituisce, deve depositare il fascicolo del procedimento monitorio.

Il giudizio di opposizione può concludersi con:

  • il rigetto dell’opposizione, il decreto ingiuntivo diviene esecutivo se il rigetto è pronunciato con sentenza passata in giudicato o provvisoriamente esecutiva, oppure è dichiarata con ordinanza l’estinzione (art. 653 c. 1 c.p.c.);
  • l’accoglimento integrale dell’opposizione, il decreto ingiuntivo opposto perde efficacia e viene sostituito dalla sentenza;
  • l’accoglimento parziale dell’opposizione, il titolo esecutivo è costituito esclusivamente dalla sentenza, ma gli atti di esecuzione già compiuti in base al decreto conservano i loro effetti nei limiti della somma o della quantità ridotta (art. 653 c. 2 c.p.c.).

Il provvedimento del giudice è soggetto agli ordinari mezzi di impugnazione.


9. Ricorso per ingiunzione: i tempi

Una volta depositato il decreto ingiuntivo presso la cancelleria del giudice competente, questi deve emettere il provvedimento entro 30 giorni dal deposito (art. 641 c.p.c.).

A) Decreto non provvisoriamente esecutivo

Una volta emesso il decreto, occorre chiedere le copie autentiche (in caso di deposito cartaceo presso il Giudice di Pace) e occorrono solitamente 3 giorni liberi ovvero l’avvocato può autenticare le copie scaricandole, in tempo reale, dal fascicolo informatico (in caso di deposito presso il Tribunale). Si portano le copie all’UNEP (ufficio notifiche e protesti), per la notifica, i tempi variano a seconda che la stessa avvenga a mani o a mezzo posta, orientativamente si può ipotizzare una ventina di giorni. Dopo la notifica, occorre attendere il decorso dei 40 giorni; in assenza di opposizione, si chiede al cancelliere l’apposizione della formula esecutiva (potrebbe volerci una quindicina di giorni) e si procede nuovamente alla notifica del titolo e del precetto (occorre sempre una ventina di giorni). Decorsi 10 giorni, si può iniziare il pignoramento. Insomma, nel giro di 3 o 4 mesi, si può principiare il procedimento esecutivo.

B) Decreto non provvisoriamente esecutivo

Valgono i termini sopra indicati, eccezion fatta per i 40 giorni. In questo caso, quindi, salvo opposizione, nel giro di 2 o 3 mesi si può iniziare il procedimento esecutivo.


10. Quanto costa il procedimento per ingiunzione?

Quando si inizia un processo, l’attore o il ricorrente deve versare il contributo unificato; il suo valore è parametrato al valore della causa e alla materia. Per il procedimento di monizione il valore del contributo unificato è dimezzato. A titolo esemplificativo:

  • per le cause inferiori a 1.100, euro il contributo dimezzato è pari a 21,50 euro;
  • per le cause tra 1.100 e 5.200 euro il contributo dimezzato è pari a 49 euro;
  • per le cause tra 5.200 e 26.000 euro il contributo dimezzato è pari a 118,50 euro;
  • per le cause tra 26.000 e 52.000 euro il contributo dimezzato è pari a 259 euro;
  • per le cause tra 52.000 e 260.000 euro il contributo dimezzato è pari a 379,50 euro;
  • per le cause tra 260.000 e 520.000 euro il contributo dimezzato è pari a 607 euro;
  • per le cause con importo superiore a 520.000 euro il contributo dimezzato è pari a 843 euro

Vi sono casi in cui il decreto ingiuntivo è esente dal pagamento del contributo unificato, come nelle pratiche di crediti da lavoro dipendente, in cui il lavoratore certifichi di avere un reddito familiare inferiore a circa 34.500,00 euro.

Oltre al contributo unificato, deve essere versata l’imposta di bollo pari ad euro 27,00 a titolo di anticipazione forfettaria (art. 30 D.P.R. 115/2002), non dovuta per i procedimenti davanti al giudice di pace per un valore inferiore ai 1.100,00 euro.

Una volta ottenuto il decreto ingiuntivo esecutivo, occorre corrispondere l’imposta di registro; al suo pagamento sono solidalmente obbligati il creditore e il debitore (ma il creditore ne chiederà il rimborso al debitore). L’imposta di registro:

  • per crediti sino a 1.100 euro non è dovuta,
  • è dovuta nella misura fissa pari a 200 euro, se il decreto ingiuntivo reca la condanna al pagamento di una somma soggetta a IVA;
  • secondo un’aliquota pari al 3% del valore della controversia, nelle altre ipotesi.

Anche per l’opposizione a decreto ingiuntivo il valore del contributo unificato è dimezzato; lo stesso dicasi in caso di domanda riconvenzionale che non superi il valore della causa; invece, nell’ipotesi in cui la riconvenzionale comporti un aumento del valore (determinando il superamento dello scaglione) occorre versare un contributo unificato corrispondente a quello dovuto per la proposizione della domanda riconvenzionale stessa.

Occorre poi considerare le spese per le copie (in caso di copie cartacee davanti al giudice di pace); al di sotto dei 1.100,00 euro non sono dovuti i diritti di copia.

Le spese per una singola notifica solitamente si attestano intorno ai 20 euro (la cifra non è fissa), in caso di notifica a mezzo PEC non vi sono spese.

Infine, bisogna corrispondere le competenze dell’avvocato per la procedura monitoria, che variano in base al valore della controversia. Secondo le tabelle forensi (D.M. 55/2014), il compenso medio (che può subire aumenti o diminuzioni) e deve essere previamente concordato tra legale e cliente, è il seguente:

  • 450 euro per controversie sino a 5.200 euro,
  • 540 euro per controversie comprese tra 5.200 e 26.000 euro;
  • 1.305 euro per controversie tra 26.000 e 52.000 euro;
  • 2.135 euro per controversie tra 52.000 e 260.000 euro,
  • 4.185 euro per controversie tra 260.000 e 520.000 euro

Per la ricerca dei beni da pignorare (art. 492 bis c.p.c.) il contributo unificato è pari a 43,00 euro e non è dovuta la marca da bollo da 27,00 euro. Si ricorda che l’accesso all’Anagrafe Tributaria ed all’Anagrafe dei Rapporti Finanziari non è gratuito; infatti, una volta ottenuta l’autorizzazione da parte del Presidente del Tribunale e rivolto l’istanza all’Agenzia delle Entrate, viene richiesto il pagamento di un F24 la cui cifra è variabile (dalla trentina di euro a salire).

Anche l’iscrizione di ipoteca giudiziale (art. 655 c.p.c.) ha dei costi; infatti, si pagano:

  • l’imposta di registro pari allo 0.50% dell’importo dell’ipoteca;
  • l’imposta di bollo pari a 59 euro;
  • l’imposta ipotecaria pari al 2% del valore dell’ipoteca (si parte da un minimo di 200 euro),
  • la tassa di trascrizione pari a 35 euro,
  • onorario del professionista che si occupa dell’iscrizione.

Per quanto riguarda la fase esecutiva, i costi cambiano a seconda della tipologia di procedimento.

1) espropriazione immobiliare: il contributo unificato è pari a 278,00 euro, oltre all’anticipazione forfettaria pari ad euro 27,00; vi sono poi le spese di notifica, le spese per la trascrizione in conservatoria del pignoramento (299,00 euro) e quelle del certificato notarile (art. 567 c. 2 c.p.c.);

2) espropriazione mobiliare: per le controversie di valore inferiore a 2.500 euro, il contributo unificato è pari a 43,00 euro; per le controversie di valore superiore a 2.500 euro, il contributo unificato è pari a 139,00 euro; oltre all’anticipazione forfettaria pari ad euro 27,00; vi sono poi le spese di notifica ed ulteriori esborsi in caso di pignoramento di auto/motoveicoli (trascrizione al PRA et cetera);

3) espropriazione presso terzi: il contributo unificato varia a seconda della cifra di cui si chiede il pignoramento (ad esempio sino a 1.100 euro è pari a 43 euro), oltre all’anticipazione forfettaria pari ad euro 27,00; vi sono poi le spese di notifica.

Naturalmente, nel caso in cui l’esecuzione vada a buon fine, tutte le spese di cui sopra verranno rimborsate al creditore procedente; non così, in ipotesi di esecuzione infruttuosa. Per questo motivo, prima di iniziare un procedimento esecutivo, è opportuno valutare ed accertare la capienza del debitore.

 

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