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VIBO VALENTIA Un’auto di colore scuro demolita in fretta, un lungo periodo di senza farsi vedere più in paese, lontano dal bar frequentato abitualmente. E poi una serie di telefonate, di breve durata, ritenute quantomeno sospette. Sono tutti elementi che arricchiscono un puzzle sempre più complicato ma che potrebbero aiutare a capire cosa sia veramente accaduto a Maria Chindamo, l’imprenditrice di Laureana di Borrello, scomparsa il 6 maggio del 2016.

Sotto processo, davanti ai giudici della Corte d’Assise di Catanzaro, è finito Salvatore Ascone, noto per tutti come “U Pinnularu”, a tutti gli effetti considerato «l’uomo di fiducia e di riferimento assoluto per il potente clan Mancuso di Limbadi» nel territorio che comprende località Montalto, al confine delle province di Reggio Calabria e Vibo Valentia, oggetto di una coesistenza di interessi delle cosche criminali attive tra Limbadi e Rosarno, i Mancuso e i Bellocco-Cacciola. Proprio lì dove la vita di Maria Chindamo è stata distrutta. Su di lui si sono concentrate le indagini coordinate dalla Dda di Catanzaro culminate con il blitz “Maestrale-Carthago”.  Ascone è ritenuto concorrente nell’omicidio di Maria Chindamo perché «unitamente a suo figlio Rocco Ascone (minorenne all’epoca dei fatti), provvedeva a manomettere il sistema di videosorveglianza installato presso la sua proprietà, limitrofa a quella della Chindamo, in modo da impedire la registrazione delle immagini riprese dalla telecamera orientata sull’ingresso della proprietà della imprenditrice, fornendo così un contributo alla commissione dell’omicidio della donna, agevolando gli autori materiali dell’omicidio, che operavano sapendo di poter agire indisturbati e con la sicurezza di non essere ripresi e, dunque, successivamente individuati».

In una informativa firmata dal comandante del Reparto Crimini Violenti del Ros Centrale emergono indizi e particolari che alimentano la “zona grigia” all’interno della quale si cela la verità sul delitto Chindamo e una sete di giustizia che, da queste parti, è attesa da oltre 7 anni. Gli spunti raccolti dai militari puntano i riflettori su una stretta cerchia di persone, soggetti di «interesse investigativo» sebbene non indagati. I carabinieri ne hanno analizzano gli spostamenti, hanno scandagliato i traffici telefonici e provato ad incrociare i risultati, riallacciando i fili di una storia fatta da brandelli di verità.

Un lavoro enorme che getta ombre e sospetti ma che non permette – almeno fino a questo momento – di andare oltre. Nel mirino del Ros è finito, ad esempio, un soggetto, dipendente di un’azienda agricola, incaricato qualche giorno prima da Maria Chindamo di effettuare un trattamento sui kiwi coltivati presso la sua proprietà terriera di Limbadi, in contrada Carini. L’appuntamento era fissato proprio per le 7 del 6 maggio 2016 ma, fatalmente, arriverà in ritardo di 20 minuti, in tempo per constatare la scomparsa della Chindamo.

E poi ci sono i sospetti su quell’auto, un’Alfa Romeo 147 di colore scuro, demolita qualche giorno dopo la scomparsa di Maria Chindamo. Dai riscontri dei militari risultata “cessata dalla circolazione” il 19 maggio 2016 dopo la consegna al demolitore del 12 maggio 2016, a Palmi. I dubbi dei militari si sono concentrati su almeno quattro aspetti che, rispetto alla ricostruzione fornita dal soggetto interessato, sono state smentite: l’Alfa sarebbe stata portata dal demolitore trainato dalla Panda nuova acquistata dal proprietario 4 giorni dopo. Poi dice di essere stato aiutato dalla moglie che, dall’analisi delle celle, risultava a Laureana di Borrello e non a Palmi, così come appare verosimile che una Panda possa trainare una 147, circostanza che, annotano i militari, «appare altresì smentita dall’attività di analisi della successione delle celle radioelettriche agganciate dall’utenza» in occasione «dell’arrivo sotto la copertura della cella attestata su Palmi alle ore 15:01:15 del 12 maggio 2016» mentre solo alle 14.51 la stessa utenza dell’uomo si aggancia ad una cella in località Barbasano a Laureana di Borello e, dovendo nella migliore delle ipotesi percorrere 26.5 km, per i militari « appare difficilmente compatibile con la circostanza riferita che l’Alfa Romeo 147, avendo fuso il motore, fosse trasportata “a traino”, e quindi molto lentamente».

Vincenzo-Chindamo

Analizzando invece il traffico telefonico, i Carabinieri notano un’unica ma significativa anomalia: alle ore 07.01 del 6 maggio 2017, l’utenza dell’uomo impegna la cella censita nei pressi del luogo della scomparsa di Maria Chindamo in una telefonata di soli 48 secondi interagendo «con l’utenza della moglie del suocero della donna scomparsa» annotano i Carabinieri nell’informativa «l’unica presente in due anni di traffico telefonico». Altro elemento inserito nell’informativa dai Ros, è la circostanza illustrata da Vincenzo Chindamo, fratello di Maria, e che riguarda lo stesso soggetto che, quotidianamente, si «recava nel bar di sua proprietà a Laureana di Borrello» ma che stranamente «dalla data dell’evento delittuoso del 6 maggio 2016 non si era fatto più vedere per molto tempo per poi improvvisamente riapparire». Elementi, insomma, che rendono ancora più fitta la rete di misteri sulla scomparsa dell’imprenditrice di Laureana di Borrello, in attesa che riparta il processo in Corte d’Assise. (g.curcio@corrierecal.it)

 

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