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Sassari «Altro che assalto eolico: i sardi nuovamente hanno davanti una miniera d’oro, e come era già accaduto per la Costa Smeralda e il turismo, rischiano che a trarne i profitti siano ancora gli altri. Impariamo dal passato, non commettiamo gli stessi errori».

Roberto Schirru, 55 anni, sassarese, ambientalista, socio sostenitore di Green Peace, sviluppatore di energie rinnovabili, consulente per eolico e fotovoltaico, da 20 anni lavora anche in Germania. Ed è qui che sole e vento, per i cittadini, ormai sono una fonte di energia pulita ma anche una solida fonte di guadagno. «Sull’eolico si va dal 4 al 10 per cento di profitti all’anno. Significa che se uno investe 10mila euro dei suoi risparmi su una pala eolica, dopo 12 mesi può incassare anche1000 euro di rendita. Trovatemi un bot così remunerativo e sicuro». Si chiamano “parchi eolici popolari”, o “Public Company”, ci sono in Olanda e Danimarca e solo in Germania ne esistono circa 600. Mediamente di piccole dimensioni, dalle 3 alle 6 turbine, e la gente ci investe, a seconda della disponibilità, dai 250 euro sino ai 100mila.

«È un azionariato popolare, delle vere e proprie cooperative energetiche. Ci sono paesini di 300 anime, dove tutti hanno investito qualcosa. E dove ciascuno diventa coproprietario dell’impianto, e l’amministrazione pubblica entra a far parte del Cda dell’azienda, ha potere decisionale, e soprattutto guadagna mediamente il 7-8%. Se poi si parla di impianti off-shore nel mare del Nord, i profitti alcuni anni hanno rasentato picchi del 200%».

I sindaci, in Germania, sono i primi a contattare le grandi multinazionali o gli sviluppatori dei progetti, perché hanno colto le opportunità. In Sardegna invece l’approccio è diametralmente opposto. Diffidenza e barricate. «Se i privati, le grandi aziende dell’energia e gli sviluppatori sono pronti a investire in Sardegna, un motivo ci sarà? O sono tutti matti? Ma da noi la narrazione sull’eolico è distorta. Si parla di assalto, di speculazione. È come se ci fosse un concorso con 1000 posti disponibili, e si presentassero 20mila candidati. E a un certo punto i media e i comitati raccontassero che questi 20 mila saranno tutti assunti. Ma non è così: i posti sono sempre 1000. Lo stesso vale per le pale eoliche: verranno installate, che piaccia o no, 150-200 nuove turbine assieme a 5.000 ettari di fotovoltaico (circa lo 0,2% della superficie dell’isola) entro il 2030. Ma non di più, e solo nelle aree idonee. Non dimentichiamo che in Sardegna la moria dei progetti sulle rinnovabili è del 95%. L’Italia è uno dei paesi con una legislazione più rigida, e la Sardegna, con la Toscana, è la regione più severa al mondo. Ma quale assalto? I nuovi impianti eolici o fotovoltaici devono essere per forza installati, perché ci sono gli accordi di Parigi da rispettare, ed è meglio che alla realizzazione e ai profitti partecipino anche i sardi. La Regione deve imporre che una percentuale di quote societarie siano messe a disposizione dei cittadini, che vogliono finanziare gli impianti e godere dei dividendi. Gli stessi Comuni devono pretendere di entrare con una quota di finanziamento, nelle società che gestiscono o costruiscono gli impianti eolici e fotovoltaici nei propri territori».

Purtroppo è impossibile ipotizzare una copertura solo pubblica dei costi degli impianti. Si parla di cifre fuori dalla portata: «I privati e le multinazionali ci saranno per forza, perché 6,5 gigawatt costano circa 7miliardi di euro e la Regione non li possiede. Ma io dico: i sardi hanno 6 anni di tempo per riuscire ad investire 50 milioni di euro e diventare coproprietari degli impianti. Una singola pala eolica dovrebbe fruttare a chi la ospita circa 8 euro a kilowatt. Parliamo di rendite di 70mila euro per turbina all’anno, non le briciole che le multinazionali hanno concesso durante la prima ondata. Adesso si apre il secondo capitolo: vogliamo perdere questa occasione? Anche i sardi devono guadagnare dalla vendita del nostro sole e del nostro vento».

 

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