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Rischia di salire l’entità della prossima finanziaria, che il governo spera di contenere entro i 25 miliardi di euro. Chiarita l’entità dell’extragettito fiscale – oltre 19 miliardi in più tra i primi sette mesi del 2023 e quelli del 2024 – dal ministero dell’Economia si sono affrettati a ribadire che «non esiste un tesoretto». Cioè che non ci sono soldi per rimpinguare la manovra. Senza dimenticare che il titolare di via XX Settembre ha detto in tempi non sospetti ai suoi colleghi che se guardano a politiche espansive, devono indicare le coperture, recuperandole dai fondi poco o non utilizzati dei loro dicasteri.

LE RICHIESTE

Questi paletti però non sono riusciti – per ora – a frenare le richieste di spesa dei ministeri e dei partiti di maggioranza. Fronti dove si dà per scontato che – accanto alla conferma del taglio del cuneo e dei principali bonus welferistici o a un nuovo alleggerimento dell’Irpef – l’esecutivo sarà costretto a mettere risorse ulteriori su altri capitoli. E nella “lista della spesa” rientrano settori centrali nella vita del Paese come la sanità (soprattutto per i salari di medici e infermieri), i fondi per le imprese partendo dai contratti di sviluppo, i soldi per gli statali o gli incentivi per la Zes unica del Mezzogiorno.

Qualcosa in più si capirà con la presentazione da parte del Mef del piano di sviluppo strutturale da presentare in Europa e con il quale gli Stati membri devono illustrare alla Commissione la programmazione finanziaria per i prossimi 5 anni e la “traiettoria” in sette per contenere la spesa primaria. In questa logica l’extragettito – soltanto nella parte strutturale dell’aumento dei ricavi fiscali – potrebbe essere utile per invertire il cosiddetto andamento, con ripercussioni positive sull’entità del deficit e di riflesso del debito.

Se il governo, poi, decidesse di alzare l’asticella della crescita dall’1 all’1,2 per cento – sfruttando per esempio l’andamento del turismo, la crescita dell’export e la piena occupazione – ci si potrebbe trovare forse con quattro miliardi di risorse in più utili al rilancio del Paese. Senza contare che il 23 settembre l’Istat si appresta a pubblicare la nuova revisione dei conti nazionali.

Fin qui le ipotesi. Poi ci sono le certezze. Come le richieste di spesa presentate già a luglio al Mef dai principali ministeri, che facilmente troveranno sponsor in Parlamento.

Il Mimit, per esempio, ha già chiarito la sua strategia per rafforzare i principali incentivi alle imprese. In questa direzione si vogliono aumentare le risorse per i contratti di sviluppo – utilizzati in questi anni spesso anche per risolvere crisi aziendali – i contratti di innovazione, la cosiddetta legge Sabadini principale sfogo per l’acquisto di nuovi macchinari contratti innovazione e il Piano Casa. Cioè la strategia portata avanti con Confindustria per garantire – anche con appositi incentivi – abitazioni a prezzi calmierati per i dipendenti del manifatturiero, spesso poco restii a trasferirsi dove c’è lavoro. Misure che valgono anche uno sforzo per i conti pubblici tra gli uno e i due miliardi di euro in più.

Non meno onerosi rischiano di essere i rinnovi dei contratti per i dipendenti pubblici. I soldi per il Pubblico impiego dovrebbero oscillare attorno al miliardo di euro, che andranno ad aggiungersi agli 8 miliardi stanziati lo scorso anno per il rinnovo del contratto 2022-2024. Sul fronte della sanità per i stipendi a medici e infermieri bisognerà trovare circa 2 miliardi in più, soldi necessari per evitare la fuga dei sanitari dagli ospedali.

Capitolo Zes unica per il Mezzogiorno: lo scorso anno il governo ha allocato 1,8 miliardi per gli incentivi. Il boom di richieste di finanziamenti per macchinari e capannoni ha spinto il governo a portare il totale a 3,6 miliardi. Una cifra più alta che potrebbe essere anche inserita in questa manovra. Tra le priorità del governo c’è quella di rilanciare il ceto medio. In questa direzione il viceministro dell’Economia sta lavorando anche per alleggerire la fiscalità dei redditi sopra i 50mila euro. Ma potrebbero esserci altre misure su questo fronte. Sempre dal Mef il viceministro Federico Freni ha rilanciato un provvedimento che sta molto a cuore alla Lega: «Se per ceto medio intendiamo la classe dei liberi professionisti abbiamo già detto che la flat tax sarà confermata e stiamo lavorando per alzarla». Forza Italia, invece, continua a chiedere a gran voce un ritocco sulle pensioni minime. Sul punto Giorgia Meloni ha già garantito continuità rispetto allo scorso anno, «per una rivalutazione piena di tutte le pensioni che arrivavano fino a 2.270 euro, garantendo che fossero adeguate pienamente al costo della vita» e «una rivalutazione al 120% per le pensioni minime, che sono cresciute in modo significativo». Quella perequazione è costata quasi un miliardo, ma gli azzurri premono per aumentare le risorse per questi assegni.

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